mercoledì 10 luglio 2013

questo abbraccio vada al mondo intero (semicit.) / Addio, ciaociao, auf wiedersehen, goodby (cit.)


allora, amici, cari 25 lettori eccetera.
questo è l'ultimo post.

domani prendo un aereo e venerdì sera sarò nuovamente in Italia.

qualche settimana fa  ho comprato il biglietto.
sola andata, diceva.

che poi in realtà è un ritorno.
ma per la compagnia aerea che mi ha fatto il biglietto è di sola andata.
questa cosa, ho pensato, è buffa. e anche molto indicativa di come certe andate siano in realtà dei ritorni e di come ritornare, a volte, possa invece significare andare.
insomma, di quanto sia relativa, questa cosa delle andate e dei ritorni. di come sia soggettiva, di come dipenda, in fondo, da noi, da tanti fattori.

di come, per la compagni aerea, il mio viaggio sia solo un'andata.
e forse, ho pensato, ha ragione lei.

perchè domani, undici luglio, io prenderò un aereo, da bogotà.
e il giorno dopo, la serea, dodicidiluglioduemilaetredici sarò di nuovo in Italia.
e sarò lì per restare, non per tornare qua.
(anche se mai dire mai, insomma).

e, penso, ha ragione la compagnia aerea, in fondo.
perché dopo un anno così, credo, non è possibile, in qualche modo, tornare.
si va.

si va a vedere come si è cambiati, si va a vedere un nuovo nuovo mondo che magari per altri sarà rimasto uguale o poco differente, può anche essere.
ma io (tu), che parto, dopo un anno di chilometri e ore e di tante distanze diverse e di cieli e incontri e persone che mi hanno attraversato i pensieri e gli occhi e il sangue e la pelle, io, dopo un anno così, mica torno.

io parto.
e, in fondo, non lo so mica bene quello che troverò, alla fine.

chè gli occhi, ormai, mi sono cambiati, hanno dentro delle cose nuove, che prima non conoscevo e che mi hanno cambiato lo sguardo e allargato il cuore e ora, credo, ci stanno più cose.

quindi, ecco, volevo dirvi, a voi 25 lettori, che mi avete fatto compagnia da lontano anche solo coi vostri occhi attenti e fedeli alle parole, anche quelle a volte piccole, che ho potuto regalarvi un po' da qui, per come ho potuto, insomma: grazie.

dato che questo luogo era nato, semplicemente, per raccontare di questo viaggio lungo un anno, non ha più molto senso che io continui a scriverci, da domani.
Avevo un sacco di altre cose da raccontarvi, ma vorrà dire che lo farò a voce.
E questo posto, dunque, continuerà a fluttuare nell'immensità del web e sarà un po' come quando si mettevano le lettere ricevute in una scatola delle scarpe in cima a qualche armadio, per poi riaprirla svariati anni dopo e lasciarsi nuovamente travolgere dalla commozione per le cose vere.

vi regalo, qui sotto, un'ultima immagine.

siamo io e Irene, a Monserrate.
l'amicizia con lei è stata una delle tante cose grandi che mi sono accadute qui.
l'abbraccio della foto è della stessa natura di quello, spero, di poter dare a ciascuno di voi, al più presto, al mio rientro.

il desiderio più grande che ho, in questo momento, è che questo abbraccio vada al mondo intero (semicit.).









piesse: giusto per la cronaca.
arrivo venerdì sera, ma domenica la mia famiglia mi rapisce e mi porta una settimana al mare, in Francia...quindi, a parte la giornata di sabato, non sarò tecnologicamente raggiungibile fino tipo al 21 o 22 di luglio...così, metti che qualcuno avesse voluto invitarmi a cena, dovrà aspettare fino al 22.

fine delle trasmissioni, cià:

martedì 9 luglio 2013

click mancati e psicodrammi

stamattina siamo andate a fare un giro in centro, che ci ha accompagnato Jhon un collega colombiano che conosce bene il centro.

in centro non ci vai da sola.
e soprattutto è il caso di andarci con un colombiano.

in centro si va vestite il peggio possibile, senza gioelli e possibilmente senza cellulare.

se devi comprare qualcosa è meglio se ci vai con un colombiano, perché lui può contrattare e abbassare il prezzo.
agli stranieri li fregano solo con lo sguardo, anche se uno sta attento e tutto.

tutto questo è un peccato, perché il centro, di tutta Bogotà, è il luogo dove avrei fatto più volentieri un milione e mezzo di foto.

mi sono limitata a quelle qui sotto, fatte di nascosto e velocemente.

peccato davvero, ad ogni angolo c'era un possibile click....





poi, non aspettatevi regali e regalini stavolta, chè, come potete vedere dall'immagine qui sotto, siamo nel bel mezzo dello psicodramma da valigie...

lunedì 8 luglio 2013

patacones

oggi la mamma di Juli ci ha insegnato a fare i patacones.
ci hanno pure regalato questo specie di tagliere doppio che potete vedere nella foto qui sotto, che serve per spiaccicare il platano fritto, che poi lo si frigge un altra volta.

non so se si trovano i platanos verdi in Italia, nel caso vi prometto che vi invito tutti a cena e ve li preparo.
con tanto di guacamole (una delle salse che si fa con l'avocado per accompagnare i patacones)


domenica 7 luglio 2013




di pianto e riso


della festa di ieri sera non riesco a raccontarvi, se non per cenni.
chè è stata una cosa grande, bella, così grande e così bella che io proprio non me lo sarei mai aspettata, ma mai e poi mai, intendo.

c'erano amici, parenti, famiglie, colleghi, c'erano tutti o quasi tutti.

è pure arrivato Daniel, uno dei miei alunni super preferiti di quest'anno, che non speravo venisse e invece c'era e quando l'ho visto entrare mi è venuto da piangere un sacco ma non l'ho fatto.

poi avevano preparato per noi dei video, bellissimi e quello alla fine era anche commovente, ma proprio che lì invece non ce l'ho mica fatta e ho pianto come una fontana.

poi in mezzo abbiamo cantato un sacco e ci hanno fatto fare dei giochi sul palco e noi abbiamo riso fortissimo e siamo state brave e ridicole eccetera.

e ci hanno fatto un sacco di regali. fiori, tequila, bigliettini fatti a mano, libri, dolci, di tutto e di più.

io vorrei raccontare tutto e con ordine ma non posso, perché è stata una cosa così grande e bella che a provare a raccontarla non ci riesco e poi se no mi viene da piangere di nuovo.

allora poi invece stamattina sono andata in centro con Richard, Juli e sua mamma e mi hanno portato a vedere il Museo dell'Oro e il Museo Botero, che, voglio dire, sono praticamente gli unici due musei di Bogotà e mica potevo andarmene senza visitarli, vi pare?

Domattina la mamma di Juli ci insegna a fare i patacones, che sono una delle cose buone buone buone che si mangiano qui e che in Italia mi sa che è difficile, perché ci vuole il platano, che mi sa che in italia si trova difficile o proprio non si trova.

son giorni di pianti e risa fortissimi che mi riempiono la gola, la testa e tutta l'aria che ho attorno.
a volte mi sembra di guardare le cose come se volessi mangiarmele tutte.

sabato 6 luglio 2013

Le despedide.

Ragazzi, qui stasera grande festa per la nostra despedida.
Non so cos'hanno organizzato, esattamente.

So solo, di certo, che ci sarà un milionerrimo di gente e che le lacrime, che ho trattenuto eroicamente stamattina, alla consegna delle pagelle, le verserò tutte stasera, credo.
Meglio.

Così quando giovedì andrò in aereoporto non me ne saranno rimaste da piangere.
Perché, scrivevo qualche giorno fa, lasciare  le cose è difficilissimo.

E non intendo allontanarsi dalle cose.
Intendo: lasciarle.
Lasciarle per sempre.
O fino a quando non sai, che è come per sempre.
Allontanarsi è difficile.
Lasciarle è difficilissimo.

Le cose sono: L, S., M., J.... gli abbracci di I, Juliana e le caramelle, la chitarra di B., perfino la sveglia delle cinque e mezza, il cielo, i fili dell'elettricitá, lo spigolo del tavolo in sala, cose così.

Guardare le cose con dentro la parola addio è una cosa che fa del male vero.

Io mi ricordo una volta, che ero alla scuola materna e avevo un amico e poi se n’è andato a vivere in Francia con la sua famiglia.
Avevo 4 o 5 anni e ho continuato a chiedere a mia madre perché Paolo non veniva più a scuola.
Tutte le mattine speravo di vederlo entrare dal cancello, anche se tutti mi ripetevano che era in Francia.
e la Francia è lontana.

Dire addio alle cose e alle persone è una cosa che dopo, per mesi, guardi il cancello.
anche se sai che la Francia è lontanissima.
e che Paolo non arriverà.

Seguiranno racconti e aggiornamenti, se i singhiozzi non me lo impediranno.
Stay tuned!

E tu scrivimi, scrivimi, se ti viene la voglia (cit.)


venerdì 5 luglio 2013

L'arte di ripiegare le piantine

Ormai è ufficiale a tutti i livelli, molti dei miei 25 lettori (cit.) lo sanno, agli altri lo comunico ora, quindi lo posso scrivere: tra pochi giorni torno in Italia.
E l'anno prossimo resterò in Italia, invece che tornare qui un altro anno come da progetto originale.

I motivi di questa scelta alcuni di voi li sanno già, perché glieli ho detti io.
Altri no, eventualmente me li chiederanno quando sarò a casa e io, nel caso, mi avvarrò della facoltà di non rispondere.

Era per dire che ho cominciato a fare le valigie, impacchettare le cose, buttare il superfluo, tentare eroicamente di farci stare tutto in due valigie di massimo 23 kg eccetera.

Arrivata qui alla fine di agosto dell'anno scorso ho comprato una piantina stradale della città.
Gigantesca.
Una di quelle piantine che quando le compri sono tutte piegate perfettamente in tipo 37 parti e che quando le apri diventano grandi enormi.
Quella che ho comprato io me la sono appiccicata sulla parete della camera, di fianco al letto, e ogni tanto la studiavo.

Non sono mai stata buona con le misure, ma credo fosse più o meno un metro e mezzo di larghezza per almeno quasi un metro di altezza.

Ieri l'ho staccata dalla parete e volevo ripiegarla per infilarla in valigia e portarmela a casa.

Dramma cosmico, ovviamente.

Non faccio parte, ahimè, di quella esigua schiera di esseri umani in grado di ripiegare una piantina in maniera rapida, efficace, senza sforzo.
Mio padre, ad esempio, lo sa fare.

È uno di quei gesti che mi provocano sempre, quando mi capita di assistervi, un misto di ammirazione, invidia, stupore.

E siccome in questi giorni è così doloroso partire e lasciare tante cose, senza sapere se e quando tornerò a rivederle, allora pensavo che, in fondo, quello che sto vivendo in questi giorni è un po' come tentare di ripiegare una piantina gigante di città.

Si chiama desiderio di ricordare tutto, di non perdere niente, che tutto sia salvato, per sempre.

E mi accorgo di quanto è grande il bisogno che ho di qualcuno che sappia ripiegare la piantina stradale di quest'anno vissuto qui, senza gli strappi e gli errori che farei io, così maldestra.

Bird in red


giovedì 4 luglio 2013

Se fossi una regista, per esempio.

Ieri sera, che era già buio e stavamo andando a cena da Sandra e Luza e passavamo a prendere un dolce, a un certo punto mi sono trovata davanti a questa scena incredibile:

Un ragazzino, che avrà avuto 8 o 10 anni al massimo, in braghe corte e maglietta e un pallone da calcio. C'era il marciapiede di questa strada trafficatissima e tantissime persone che camminavano avanti e indietro e lui si metteva in un punto della strada, col pallone fermo sotto il piede destro, guardava dritto e poi via.
Cominciava a correre con il pallone tra i piedi dribblando tutte le persone che incontrava.
Arrivava alla fine della strada, si voltava, stava fermo tipo un minuto e poi ricominciava, affrontando nuovamente il dribbling estremo tra i passanti.

Una cosa di quelle che avrei voluto fotografare o filmare che, se, metti, facessi la regista, troverei sicuro il modo di metterla, una scena così, nel mio film.

Poi stamattina, che siamo uscite da scuola per andare in banca a sbrigare faccende, a un certo punto c'era questo giovanotto, sotto una casa, che fischiava e guardava in alto. E dopo, da una finestra, si è affacciata una ragazza coi capelli lunghissimi neri e un sorriso grande così. E anche lui ha sorriso, quando lei è apparsa.

Io vorrei fare la regista solo per poter mettere scene come queste nei miei film.

Allora poi ho pensato che questo mondo è proprio bello.
Ci sono cose, in questo mondo, che puoi vedere, che valgono proprio la pena di aprire gli occhi alla mattina.
Punto.

Sotto questo sole (cit.)


mercoledì 3 luglio 2013

I ❤ shopping?

C'è questo fatto, che ci penso da un po' ed è strano e non so bene come spiegarlo.

Cioè.
Io da quando sono qui praticamente non ho comprato quasi nulla.
Un paio di jeans, perché quelli che mi ero portata dall'Italia li ho distrutti.
Un paio di scarpe da tennis, per lo stesso motivo.
Un maglione e un vestito leggero, perché non ci stavano in valigia quando sono partita.
Un paio di orecchini.

Fine.
In un anno.

Voglio dire: non che io appartenga in maniera drastica al tipo di donna che fa shopping sfrenato e disperatissimo almeno una volta alla settimana.
Voglio dire: non ho mai avuto l'agiatezza economica per permettermelo e comunque, in Italia, mi capitava più spesso di spendere vagonate di soldi in maniera compulsiva più per i libri, che per vestiti o simili.

Però, insomma, la mia dose di shopping annuale e corse ai saldi me la sono sempre beccata anche io, con gusto e piacere, insomma.

Allora mi sono messa lì e ho provato a capirci qualcosa e i dati che ho raccolto sono i seguenti:

1. In Colombia la moda non esiste. Cioè: se cammini per strada e ti guardi in giro la gente è vestita veramente a caso e nei modi più assurdi e diversificati. Sia da un punto di vista climatico (trovi gente in infradito e canottiera accanto a persone col cappotto, per dire...e nello stesso giorno), sia da un punto di vista di "stile": si va dal gamin in stracci, alla donna in tacchi e tailleur, al ragazzino in uniforme scolastico, alla signora di mezza età in tuta...però, insomma, non è come a Milano, che ti basta salire in metropolitana, dare un colpo d'occhio per affermare, chessó, tipo: ah, quest'anno va il verde smeraldo.

2. Non esistono negozi. Cioè, tipo: se cammini per strada, in qualunque zona della città, è molto raro trovare negozi di abbigliamento. Ce ne sono pochissimi. O meglio, ci sono. Ma sono stipati tutti nei centri commerciali (numerosi). Però nelle vie e strade "normali", quelle per cui si cammina abitualmente, non ce ne sono proprio. Per cui, boh, non so, non ti viene in mente proprio.

3. Ai colombiani non gliene frega proprio niente di come sei vestito. O meglio. In generale hanno un gusto...diciamo...leggermente pacchiano, ecco. Cose leopardate, righe miste a colori improbabili, etc. Di per loro in realtà sono attentissimi all'aspetto fisico, su certe cose, per cui ad esempio, la manicure è un Must, anche per gli uomini, ad esempio. Ci sono parrucchieri ad ogni angolo di strada, le donne hanno una vera e propria ossessione per i tacchi 12....ma sull'abbigliamento in quanto tale...bhè, non gli interessa. O per lo meno, non ne parlano e non te lo fanno notare.

Poi, non so.

È che proprio non ne ho sentito il bisogno, chenneso.
Tutta una serie di cose per cui in Italia impazzivo, qui, hanno perso d'interesse.
Come se davvero, alla fine, ti ritrovi faccia a faccia con le tue esigenze vere.

Un caffè con un amico, o una mail che ti arriva dall'Italia, dopo averla aspettata a lungo, una telefonata via Skype, un invito a cena, una coinquilina che ti prepara il caffè la mattina...

Cose così, insomma, che da Zara non vendono.

martedì 2 luglio 2013

Cose importanti

Gli hamburger sono una delle cose importanti della vita, a mio parere.
Ci sono intere, disastrose giornate che vengono risollevate semplicemente da un buon hamburger.

Io non avevo mai mangiato un vero hamburger, prima di venire in Colombia.

Chè, io credo, gli hamburger più buoni del mondo sono quelli del Corral:

Se vi capiterà di passare da queste parti, per favore, tenetene conto.

Come al solito, anche in questo il caso, Il Maestro si è pronunciato sull'argomento, QUI.

lunedì 1 luglio 2013

Mariquita (per immagini)





Mariquita

allora siamo tornati, eh.
sani e salvi nonostante i serpenti e i ragni neri con le zampe gialle e grandi come una mano che decoravano la foresta in cui siamo andati a fare una passeggiata ieri mattina.

ovviamente io giravo cosparsa d'autan (quello apposta per le bestiacce tropicali) e avevo delle guardie del corpo (ho la fobia dei ragni. i serpenti, passino...ma i ragni non ce la faccio proprio, soprattutto se superano la misura legale).

comunque, come potete vedere dalle foto, caldo tropicale (che praticamente è sinonimo di mortale, perchè il tasso d'umidità è tipo del 110%), ma posto splendido: tanta tanta natura (anche troppa, per i miei gusti), cascate comprese.

poi nel posto in cui eravamo c'era, grazie a Dio la piscina.

ah, ovviamente in quei posti lì l'acqua calda non esiste.
cioè: tipo che entri nella doccia e c'è proprio una sola manopola, che serve a far uscire l'acqua punto.
fredda.

è che fa così caldo che l'acqua calda diventa (a parere della popolazione locale, quanto meno) fastidiosa e superflua.

no, bhe, ci siamo divertiti.

io sono stanca morta e mi aspetta un'altra settimana a scuola, con la solita simpatica sveglia alle cinque e mezzo del mattino.
ma a parte questo tutto bene.


venerdì 28 giugno 2013

Ultimo giorno di scuola (finalmente)

Eccoci giunti alla fine.
Finalmente.

(La fine, si potrebbe vedere la fine? - cit.)

Oggi, ultimo giorno di scuola (per i ragazzi, chè noi invece ci tocca ancora tutta la prossima settimana di riunioni e p**** varie).

Quindi, oggi, grande festa con canti, balli, recitazione, varie ed eventuali (vedi foto qui sotto).

Questi sono pazzi, comunque: vanno a scuola fino a fine giugno e ricominciano tipo il 20 di agosto. No, vabbè, no comment, please.

Domani, dato che tanto siamo tutti quanti freschi e riposati, vero?, partiamo e andiamo a fare tre giorni di convivenza, fino a lunedì, con alcuni dei ragazzi del liceo e alcuni professori, chi voleva.

Andiamo in un posto che, manco a dirlo, (ferunt) è caldo come l'inferno e pieno di zanzare.
Però pare ci siano delle bellissime cascate.

Se sopravvivo anche a questa poi vi racconto.

Ah, e più tardi la rettrice ci porta tutti a pranzo in un posto dove, dicono, si mangia super.

(Grazie, spettabile Dio, di aver inventato il buon cibo)

giovedì 27 giugno 2013

Money (cit.)

Questi qui sotto sono i pesos colombiani:
Nell'ordine: 50.000 pesos, 20.000, 10.000, 5.000, 2.000.

Poi ci sarebbero le monete che sono rispettivamente da 500 pesos, 200, 100 e 50.

Immagino esistano anche tagli da più di 50.000 pesos, ma io non le ho mai viste.

In generale, 50.000 pesos è già un taglio piuttosto grande: se paghi un taxi con un 50.000 pesos, ad esempio, in genere il taxista non le accetta e ti chiede se non hai gli spicci.

Alla data odierna 1 euro vale tipo 2000 pesos, vabbè, all'incirca.
Cioè, praticamente è come ragionare ancora in lire, più o meno.
50.000 pesos sono circa 25 euro, un po' meno, in realtà.

Questo significa che quando trasferirò i soldi che ho guadagnato qui in pesos (pochini, la verità), trasformati in euro diventeranno ancor meno.

Voglio dire: non sono diventata ricca.
Poi vabbè, ci sono cose qui che costano molto meno che in Italia. (Vedi sigarette), altre invece ugguale.

No, così, magari ve lo stavate chiedendo.


mercoledì 26 giugno 2013

Parking

Vi ho già parlato dei parcheggi?
No?

Ah, Bhe.
Allora è ora, direi.

I parcheggi:
Come potete osservare dall'immagine, in Colombia i parcheggi non ammettono approssimazioni.

Se per caso entri in un parcheggio (non necessariamente di quelli a pagamento, eh) e osi parcheggiare la macchina, mettiamo, banalmente, con il muso, diciamo, verso il fondo del parcheggio (cioè, tipo verso il muro), invece che verso l'esterno...non passeranno più di dieci secondi prima che qualcuno (anche un passante, eh, chevvicredete, mica necessariamente un addetto al parcheggio) vi faccia gentilmente notare che quello non é il modo di parcheggiare...e che, insomma, sarebbe gradito se voleste rifare civilmente il parcheggio.

No, dico, ma di cosa stiamo parlando???

martedì 25 giugno 2013

Grado


Grado

Ieri,infine, abbiamo avuto gli ultimi colloqui orali dell'esame di terza media.

A seguire, quattro simpaticissime ore di scrutinio, documenti da compilare, verbali, firme da apporre eccetera, tutti quanto il teatrino, insomma.

Poi, alla fine fine fine, la cerimonia di consegna del diploma, che qui ci vanno matti per quelle cose lì.
Per cui: inno nazionale colombiano, inno nazionale italiano, inno della scuola, discorso del vice ambasciatore, discorso della rettrice, discorso della commissaria, discorso della coordinatrice, discorso di un rappresentate degli studenti, consegna dei diplomi, video con foto tenerose etc etc preparato dalle famiglie dei ragazzi, foto ufficiali e ufficiose divisi per gruppo e , ovviamente, quando sono riuscita a raggiungere il tavolo degli aperitivi era ormai finito tutto.

Detto questo, i ragazzi erano bellissimi: tutti pettinati e vestiti eleganti, i maschi con la cravatta e le ragazze con la manicure e i tacchi eccetera.

E, com'era ormai assolutamente prevedibile, io mi sono commossa.

(Fortuna che l'altro giorno avevo fatto scorta di cleenex)


Le trecce secondo Anjul


lunedì 24 giugno 2013

Pulci, sí, capito bene: pulci.

È qualche giorno che avverto pruriti poco simpatici sulle gambe, sparsi.

Quando ho controllato mi sono accorta di avere delle minuscole punture d'insetto, molto simili a quelle lasciate dalle sompatiche zanzare.

Solo che qui a Bogotà le zanzare praticamente non esistono, perché fa troppo freddo per loro.

Ho chiesto in giro.

"Punture di Pulci", mi hanno detto.
"Pulci???", ho domandato con tono incredulo, sbalordito e decisamente schifato.

Già, pulci.

Chè, diciamola cosí, un taxi, a Bogotà, non è esattamente il luogo più igienico del globo...

domenica 23 giugno 2013

gringos

Ieri ho scoperto questa cosa simpatica del nome "gringos", che è il termine con cui i sudamericani chiamano gli statunitensi, e che è anche leggermente dispregiativo.

Il fatto è che nel 1846-48 c'è stata una guerra tra statunitensi e messicani.
La divisa dei soldati statunitensi era verde (green).

Per cui i messicani si riferivano agli statunitensi come coloro che dovevano andar via (con tono minaccioso, bellicoso): green go!

Che potremmo tradurre con un meno efficace: verdi, levatevi di torno, o qualcosa del genere.

Che nel tempo si è trasformato nella parola gringo.

Queste sono il genere di storie che mi fanno sorridere di soddisfazione, quando le trovo.

Chissà quanti ne hai veduti, chissà quanti ne vedrai (cit.)


sabato 22 giugno 2013

L'altra cosa che succede quando fai la commissaria in un esame è che ti commuovi ogni cinque minuti.

Una cosa terrificante proprio.

chè il punto è che, quando prendi coscienza che quellilì, ciascuno di quellilì è tuo (come raccontavo qualche giorno fa), tuo e basta, quando ne prendi coscienza è finita.
cioè, proprio non hai più nessun controllo su nessuna parte delle tue emozioni.

per cui, ad esempio, quando ieri Juan Sebastian ha finito di illustrare la sua tesina e, alla fine del power point, c'era una scritta in cui ringraziava tutti i suoi professori ma, in maniera particolare "la prof. benedetta e la prof. ilaria che mi hanno sempre sostenuto e aiutato"...vabbè, chevvidevodire, non ce la si fa, a non commuoversi.

ma anche per molto meno, eh.
basta vederne anche solo uno di loro che risponde in maniera corretta a una domanda.
o in difficoltà.
o timidi e impacciati.
o al contrario, sicuri e spavaldi.

insomma, in qualsiasi condizione si trovino, quellilì, che ormai sono tuoi e basta, lo sono per sempre, e tu lo sai...questa cosa ti scartavetra il cuore anche al solo guardarli.
è una roba impressionante e contro la quale non puoi fare proprio niente, se non arrenderti all'evidenza di quale spettacolo sia poter assistere al diventare grandi, in modi tanto diversi, di ciascuno di loro.

ora vado a comprare dei cleenex, scusate.

giovedì 20 giugno 2013

mercoledì 19 giugno 2013

Maturità t'avessi preso prima.(cit.)

Stamattina ho aperto gli occhi e la prima cosa che ho fatto (cinque e mezza del mattino, vi ricordo, prima ancora di bere il caffè) è stata precipitarmi su internet a vedere almeno i titoli, gli argomenti, dello scritto di italiano della maturità.

Ho una 20ina di ex studenti italiani che ci si stavano cimentando, e quindi.

Oh, non so. Non ho ancora letto i documenti, ma uno sguardo hai titoli mi ha leggermente terrorizzato: mi sono sembrati difficilissimi.
Spero fosse un impressione sbagliata.
E ancora di più spero siano riusciti a dare il meglio di sè.

Per quel che può valere, li ho pensati fortissimo uno ad uno.

Tutta mia la città (cit.)


martedì 18 giugno 2013

periodo ipotetico dell'impossibilità

vorrei tanto dirvi che ora abbiamo l'acqua calda.

vorrei proprio tanto.
ma tanto tanto, eh.

vorrei scrivere un post su quanto può essere bello accorgersi delle piccole cose che quotidianamente diamo per scontate, quando vengono a mancare. e di quanto si riapprezzano infinitamente, quando poi, finalmente, ce ne riappropriamo...

avrei proprio voluto.
dopo 4 settimane mi sembrava anche che fosse arrivato il momento, insomma.

invece no.
niente.

che poi.
si vive anche senza acqua calda, voglio dire.
non è quello il problema.

il problema è la speranza continuamente disillusa.
quello, sì, taglia le gambe.

la tizia che ti dice: non si preoccupi, oggi vengono a ripararla.
(da quattro settimane, tutti i giorni)
e tu tutti i giorni ci credi, ci speri, ti illumini nella consapevolezza che, finalmente, stasera laverai i piatti con una temperatura accettabile.
o potrai fare una lavatrice senza andare a chiedere ai vicini, cose così, minuscole, ma tanto confortanti.
invece arrivi a casa e
NIENTE
è
SUCCESSO.

è questo, che è snervante.
le promesse mancate uccidono.

True colours (cit.)


lunedì 17 giugno 2013

notte prima degli esami (cit.)

Se di lavoro fai la professoressa e alla fine dell'anno ti tocca fare la commissaria agli esami, questa è proprio una cosa bellissima.

cioè. è difficile, stancante, stressante e tutto il resto, certo, chi dice di no.

però è proprio bello.
innanzitutto perché ti ribalta tutto.

cioè, voglio dire: quei ragazzi lì, quelli contro i quali fino al giorno prima hai inveito, sbraitato, scagliato gomme. quelli che hai massacrato di insulti, arrabbiature, voti infami, note.
quelli che ti hanno dato del filo da torcere, che ti hanno deluso, stancato, stressato...
quellilì, insomma, che fino al giorno prima erano solo i tuoi alunni...
dal giorno che cominciano l'esame diventano tuoi e basta.

sono tuoi in un modo in cui lo erano anche prima, ma l'esame lo fa diventare evidente in un modo imbarazzante.

sono tuoi anche quelli che ti stanno antipatici, quelli che non hanno mai studiato, quelli che "potrebbero dare di più ma non si applicano", quelli che non stavano mai zitti, quelli che cercavano di fregarti, che non facevano i compiti, che copiavano nelle verifiche.

sono tuoi e basta, punto.

e tu ti ritrovi a fare il tifo per loro, per ciascuno.
ti ritrovi a girare tra i banchi alla ricerca di errori da correggere di nascosto dal presidente di commissione, di suggerimenti da dare, di sorrisi incoraggianti da sfoderare...

e quando si corregge ti ritrovi a valorizzare ogni virgola, ogni parola che anche solo minimamente abbia dentro un respiro buono, e tiri fuori dalla memoria gesti, episodi, fatti, anche minuscoli, a testimonianza del bene che sono, che c'è in loro, anche nel "peggiore" di loro, anche di quello che ti ha fatto penare fino al secondo prima. anzi, se è possibile, quellilì, i peggiori, sono ancora più tuoi degli altri.

insomma, è una cosa bella, questa, perchè è come se, finalmente, dopo tutto il tempo in cui li hai accompagnati, diventasse evidente lo scopo: non li hai accompagnati perché fossero perfetti, nemmeno perché fossero migliori e, tutto sommato, nemmeno (solo) perchè imparassero delle cose.

li hai accompagnati perchè ci sono, e sono stati affidati a te.
e questa è l'unica ragione sufficiente per volergli bene e sostenerli fino all'ultimo, al di là dei meriti.

e basta.


Messico e nuvole (cit.)


domenica 16 giugno 2013

Juli's day

Ecco, è arrivato il gran giorno.
Sono stata una madrina quasi perfetta e anche se avevo i tacchi e il cero pasquale era altissimo, sono riuscita ad accendere la mia candela e a tornare al posto senza cadere a terra miseramente.

È stato tutto molto commovente e la festa dopo è stata bellissima e Juli a un certo punto ha anche pianto.

Io no, ma solo perché mi sono trattenuta tantissimo.


Domani ricomincia la settimana e via.
Coraggio e andare.

sabato 15 giugno 2013

Dulcis in fundo

E, dulcis in fundo, incuranti della devastazione fisica prodotta dalla giornata, Ire e Benny mi hanno portato a mangiare il pesce in un ristorante peruviano che era la fine del mondo.

Una pioggia di bene e vento

Volevo solo dire (sono le sette di sera e sono ancora a scuola), che credo questo sia stato il più devastante compleanno della mia vita.
Anzi, dato che qui é ancora oggi e non é ancora finita, sarebbe meglio dire che lo è ancora.
Ovviamente già che c'ero ho vinto il premio dei verbali quotidiani degli esami (c'era bisogno di dirlo che l'avrei vinto io? No,ovviamente no).

L'esame di italiano Bho. 
Speriamo bene.
I ragazzi erano agitatissimi (buon segno)
Comunque.

La pioggia di bene che ha inondato le mie radici, dentro la giornata lunghissima e pesantissima di oggi, non solo mi ha dissetato tantissimo, ma mi ha proprio sollevato il cuore.

Vi ringrazio a tutti, ecco.
Ma tanto.

Che oggi ho ricevuto, nell'ordine:
Un video della mia famiglia con tanto di canzoncina.
Disegni col mare dentro.
Dolci.
Un pacchetto di gelatine, un rocchetto di filo nero e un origami (juli, ovviamente).
Un sacco di auguri inaspettati (i miei studenti di terza media, per esempio).
Parole bellissime e colorate per me.
Un quintale e mezzo di gratitudini e sorrisi.

Domani c'é la festa vera, ché domani Juli si battezza e io faccio la madrina (che è la prima volta in vita mia, che faccio la madrina, io, che spero di essere capace e non fare disastri, ecco).

E volevo anche dire che Spettabile Dio oggi mi ha regalato, da parte Sua, una giornata di vento.
Lui lo sa che a me il vento mi piace tantissimo. E me l'ha regalato, proprio per me, nell'unica ora "libera" in cui sono uscita da scuola per andare a pranzo.
Spettabile Dio ci azzecca sempre semprissimo coi regali per me, cavoli.

venerdì 14 giugno 2013

Il mio quasi-compleanno

Allora.

Oggi è il mio compleanno.
Ve lo dico, nel caso in cui faccialibro non ve l'abbia già ricordato.
(Parentesi: non ci rimangano male, per favore, tutti quelli - un centinaio, credo, molti dei quali tra le altre cose non sono sicura di sapere chi siano - che mi hanno fatto gli auguri, appunto, su feisssbuc...ma la verità è che - come sicuramente avranno notato tutti i miei, appunto, "amici" feisssbucchiani...io, in quel posto lí, non ci sono molto. Ho anche tutte delle mie buonissime e validissime ragioni che non spiegherò ora, rimando la cosa. Ma era per dire che  ringrazio tutti anche se, a dire la verità, a me gli auguri su faccialibro mi fanno sempre un po' di tristezza perché mi danno sempre l'impressione che in realtà sia faccialibro a ricordarsi del mio compleanno, non le persone che lo usano. Ma comunque. Grazie lo stesso, eh, non è che i vostri auguri valgano meno, mi hanno comunque riempito di gioia e gratitudine)

(Occhei. Mi sa che ho appena fatto un disastro e offeso un centinaio di persone. Amen. Chiedo scusa.)

Comunque.
Volevo dire che sto scrivendo questo post sul mio compleanno nel giorno sbagliato.
O forse nel giorno giusto.
Non lo so, è una faccenda complicata.
Per due motivi.

Il primo è banale e anche abbastanza tristerrimo. 
Ed è che domani sarò a scuola tutto il giorno, chè la mattina abbiamo la riunione preliminare per l'esame di terza media. E al pomeriggio c'è lo scritto di italiano.
Quindi esco di casa alle sette e torno alle otto-nove.
E quindi non avrei tempo per scrivere.

E vabbè. (Triste, vero?)

La seconda è che questa cosa è stranissima e non l'avevo mai vissuta e non so bene cos'è ma funziona così:
Che ora è già domani, in Italia, e quindi è il mio compleanno. Ma qui ancora no, che sono le sette di sera. 
Quindi compio gli anni in Italia ma non ancora in Colombia.
Ed è una faccenda strana di cui non so bene cosa pensare.

Detto questo, non lo so.
Compiere gli anni così lontana da casa mi sembra un pochino che li compio meno.
Non vi so spiegare perché.
Deve avere a che fare con le radici.
Cioè, tipo: se sei un albero e piove a 4 kilometri da te, l'acqua che ti arriva è pochina, no?
Mentre se ti piove sulla testa le radici bevono che è una meraviglia.
Non so, credo sia più o meno per questo.

Come se gli auguri fossero pioggia che piove lontana dalle mie radici.

Però, d'altra parte, questa cosa del fuso orario del non sapere bene quando guardarmi allo specchio per farmi gli auguri mi ha fatto scoprire una cosa grande: ed è che, in fondo, il regalo bello di cui ci si ricorda il giorno del proprio compleanno è di esistere. Che non è mica una cosa scontata, esistere.
Un sacco di cose non esistono, per dire. E anche di persone.

Io invece esisto.
Allora ho pensato che non importa poi tanto dove piove, a quanta distanza dalle mie radici.

Perché quando esisti hai radici profondissime.
E se vai in fondo in fondo nel terreno trovi acqua che magari non era nemmeno piovuta per te, ma disseta tantissimo.

(Ora, ditemi voi se è normale scrivere un post così delirante il giorno del mio quasi-compleanno)
(Vabbè.)
(Vi ho già detto che son quindici giorni che siamo senza acqua calda?)
(E che domani inizio con gli esami?)
(E poi, vabbè, evidentemente l'età che avanza comincia a farsi sentire, cosa vi devo dire?)

Delle differenze culturali, lesson one.

A volte la cultura, o la mentalità di un popolo, si affaccia in cose minuscole, quasi impercettibili.
Non diresti nemmeno che siano cultura, e da un certo punto di vista è anche così.
Ma come insegna Tarantino (il Gran Maestro, poi vi spiego) non sono cose irrilevanti. Per niente.

Ad esempio.
Mi sono accorta che i miei amici colombiani se devono contare con le mani lo fanno diversamente da me.

Ho approfondito la questione e ho scoperto questo:

Noi europei (o per lo meno noi italiani), tendenzialmente, se dobbiamo contare da uno a cinque con una mano lo facciamo nel seguente modo:
(Segue servizio fotografico accuratamente preparato per l'occasione)

Sembrerà una sciocchezza, ma non funziona così in tutto il mondo.
I colombiani ad esempio contano così:
(Vi prego di notare le differenze: partono dall'indice e non dal pollice e - provare per credere- il due e il tre sono di una scomodità devastante)

Ma non è finita.
Ho scoperto che i gringos (che è la parola con cui i colombiani chiamano gli statunitensi) applicano un'ulteriore variante della questione: partono dal mignolo e poi via fino al pollice:


Son cose, mica no. E meritano a mio parere tutta la nostra attenzione.

Poi, per dire, sta cosa ad esempio un genio come Tarantino ha saputo trasformarla in un elemento decisivo della narrazione cinematografica:

In particolare in QUESTA SCENA

Un giorno scriverò un libro. Tratterà del valore semantico che hanno i gesti in relazione col contesto culturale in cui si inscrivono e il loro valore comunicativo.
Roba grossa.
Forse divento famosa.

Le luci nelle case degli altri (cit.)


giovedì 13 giugno 2013

Genetica

I colombiani (o almeno quelli che conosco io) tendenzialmente non usano l'ombrello.

Dicono che tanto ci si asciuga veloce, qui.

Cosa che è parzialmente vera (e che in parte usano anche come giustificazione di quell'incomprensibile usanza di arrivare a scuola coi capelli fradici anche se ci sono 8 gradi, di cui avevo già parlato, mi pare) ma che a mio parere risulta comunque incomprensibile.

Cioè.
Qui, quando piove, diluvia.
Anche per ore, eh.

E questi se ne vanno in giro sotto l'acqua senza fare una piega.

E non è che dopo s'ammalano, in effetti.

Io ho una tosse che mi perseguita da tre mesi.
Forse l'organismo umano colombiano ha anticorpi speciali che a noi europei mancano, è la mia ipotesi.

Quando ho detto a Juli che mi avevano costretto a mangiare le formiche e lei mi ha risposto: scherzi?! Sono buonissime, io me le faccio sempre regalare da mia nonna!,ne ho avuto definitiva conferma: i colombiani devono avere un differente corredo cromosomico.


Ma il cielo è sempre più blu(cit.)


mercoledì 12 giugno 2013

Se per caso vi state chiedendo se abbiamo risolto la faccenda della caldaia la risposta è: no.

Siamo ancora con l'acqua fredda (Colombia tierra querida).

Se vi state chiedendo perché, la risposta è (come sempre) : ahahahah, che domanda divertente.

martedì 11 giugno 2013

paella e sangria

ieri sera Juan Camilo ci ha invitato a cena ed ecco il risultato: paella e sangria in quantità pantagrueliche.

una meraviglia assoluta.

e hanno fatto tutto loro, eh.





lunedì 10 giugno 2013

Zipaquirà

Stamattina (qui oggi è vacanza, non chiedetemi perché: siamo in Colombia), motivo per il quale siamo andate a fare una gita.

a Zipaquirà, un pueblo a pochi km da Bogotà, dove c'è una miniera di sale in cui hanno costruito una gigantesca cattedrale, tutta scavata sotto la montagna.

a parte il fatto che i nomi di questi paesini (Zipaquirà, Tocancipà - dove poi siamo andate a mangiare una carne buonissima eccetera...) sono nomi che a me mi solleticano il sorriso, chè sono nomi indigeni, che, mi hanno detto, la "à" finale indica la parola "luogo", "posto", che dev'essere una cosa simile ai paesi nostri che in certe zone finiscono tutti con -ago o -ate (ho un vaghissimo ricordo di un esame all'università in cui avevo studiato 4 cose di toponomastica e mi pare di ricordare che fosse una faccenda legata alla dominazione longobarda...o franca...o tutt'eddue, ora non ricordo con precisione).

comunque, dicevo, a parte il nome di questi paesi, che è simpaticissimo, lo ribadisco, la cattedrale era bellissima.

e queste sono le prove:



domenica 9 giugno 2013

fotoracconto n.2 (un altro esperimento)



Come in quel racconto di Carver, che forse era una poesia in forma di racconto o un racconto in forma di poesia, insomma, uno di quelli, dove c’è lui che rimane chiuso fuori di casa e, tipo dal balcone o qualcosa del genere, guarda dentro, attraverso la finestra.
e quel che vede è la sedia e la scrivania e la macchina da scrivere, sopra. il suo disordine e l’ordine e le cose, gli oggetti e, forse, un posacenere.
o una bottiglia d’acqua, può darsi.
cose minuscole, come minuscola, in un certo senso, era la sua scrittura.
cose così.
e lei capiva, leggendolo, che della scrittura proprio, stava parlando, il vecchio Raymond.
di come scrivere sia rimanere chiusi fuori casa e, da fuori, potersi guardare.
lo capì in quel momento, guardando dalla finestra interna, che dava sul corridoio, il suo ufficio, chiuso, con le chiavi dentro e lei fuori.
il thermos di caffè sul tavolo, le sedie in fila, i libri impilati.
e quella sedia, lasciata vuota e scomposta, in mezzo alla stanza, girata dalla parte sbagliata.
come quando si riceve una notizia improvvisa e si esce di casa con un pentolino sul fuoco, le luci accese, le finestre aperte, per l’urgenza di un fatto che ci ha raggiunti impreparati.
e quel foglio, per terra, impertinente, a ricordarle le cose perdute a ogni angolo della sua vita.
ma, più di tutto, quello che la colpì fu la luce.
entrava dall’altra finestra,quella che dava sul cortile, sull’esterno.
ed era una luce decisamente sfacciata.
incurante dei suoi disordini e delle sue dimenticanze.
dell’allineamento maniacale delle cose.
incurante, perfino, della sua assenza di quel momento.
la luce inondava, sfacciata, tutta la stanza, occupando lo spazio lasciato irrimediabilmente disabitato da lei; scivolando sulla superficie liscia delle cose e dei mobili; irrompendo con forza dai vetri lasciati liberi dalla tenda che lei stessa, poche settimane prima, aveva deciso di arrotolare e legare in modo che non facesse impedimento.
quella luce, in un certo senso - pensò - la stava aspettando da tempo.
paziente, si era intrufolata ogni giorno per giorni, in quella stanza.
qualche volta le aveva scaldato la schiena, altre, semplicemente, l’aveva accompagnata silenziosa, senza mai ricevere un grazie e nemmeno un occhiata veloce di riconoscimento, nè un segno anche minimo di considerazione.
rimase a guardare qualche istante il pavimento lucido e il foglio a terra, nemmeno ricordava cosa fosse, o se fosse importante.
pensò che quella stanza le somigliava.
non per il disordine, e nemmeno per essere vuota, senza di lei, e irrimediabilmente chiusa. tutte cose che, per altro, si sentiva corrisponderle perfettamente, da molti mesi, ormai.
non era quello, che colse come segno di riconoscimento di sé.
ciò che più sentì esserle specchio era quella luce: immeritata e non richiesta. paziente e, soprattutto, estranea: veniva da fuori, gratis, non era niente che lei avesse predisposto.
eppure le scaldava il cuore - pensò - più di ogni altra cosa quella stanza contenesse.
quando si girò, per scendere alla ricerca di un passe-partout, raddrizzò impercettibilmente la schiena e sentì rischiarasi la fronte.
finchè c’è una luce che mi aspetta sfacciata - si disse, tra i pensieri - nessuna assenza potrà mai essere irrimediabile

sabato 8 giugno 2013

Oggi siamo tornate a monserrate.
Con gli alunni (alcuni) di terza media, chè l'esame si avvicina ed è il caso di chiedere la grazia, io credo.

E vabbè.
L'ultima foto che vedete qui sotto è una confezione di formiche.
Fritte.
Qui le mangiano.
Antonella mi ha praticamente costretto a mangiarne una.

Non vi dico il bleah assoluto che mi ha invaso.
Only the brave.









venerdì 7 giugno 2013

colombia, tierra querida

una settimana fa si è rotta la caldaia di casa nostra.

questo significa che è una settimana che non abbiamo acqua calda in casa.

una settimana.

voi magari credete che non abbiamo preso seriamente in considerazione la cosa e non abbiamo chiamato i tizi che dovrebbero risolvere il problema eccetera.
ma non è così.
avete una pessima idea di noi, se pensate questo.

abbiamo chiamato la mattina dopo.
e poi quella dopo.
e poi quella dopo.

e, finalmente, ieri, è venuto il tizio a ripararla.
ma poi se n'è andato.
e ci ha detto che non può.
che dovrà tornare.

domani è sabato. e lunedì è festivo.
quindi significa che se non torna oggi (cosa improbabile, dati i precedenti), toccherà aspettare almeno fino a martedì, ammesso che martedì si ricordi di noi.

lavare i piatti con l'acqua fredda, con le temperature che ci sono qui a Bogotà è un'esperienza interessante.
ma mai quanto farsi la doccia.

Girogirotondo


giovedì 6 giugno 2013

Io comunque, che ormai son parecchi mesi che vivo qui, non ho mai (dico mai) visto un colombiano leggere un quotidiano.

Cioè, qui praticamente non esistono.

Nemmeno le edicole per strada, ad esempio.

Niente giornali.

Quando ho chiesto in giro l'unico nome che è saltato fuori è stato "el tiempo", che praticamente è IL quotidiano nazionale, potrebbe un po' essere tipo il nostro Corriere della sera, per dire.

E comunque non ho mai visto un colombiano con una copia di un quotidiano tra le mani, nemmeno nei bar.
Nemmeno sui mezzi pubblici.
Nemmeno nelle case degli amici.

Insomma, non so, devo rifletterci, su questa cosa.

Ma mi pare un fatto grave, in un qualche modo, grave, sí, ecco.

In wonderland


mercoledì 5 giugno 2013

Per la cronaca

Si avvicina l'esame di terza media (che, per la cronaca, inizia il 15 giugno, che, per la cronaca, è un sabato e dunque teoricamente sarebbe festivo e che per di più, per la cronaca, è pure il giorno del mio compleanno).

In questi giorni sono dunque sommersa di tesine da correggere e stiamo facendo il ripasso.
Non c'è giorno che passa in cui, nel fare questo, non mi vengano in mente i miei studenti italiani, di quinta, che si stanno apprestando ad affrontare la maturità e che, se non fossi venuta qui, avrei potuto accompagnare da vicino e invece no, mi tocca guardarli da lontano.

E mi sorprende scoprire il bene vero che posso volere a qualcuno così da lontano, senza fare assolutamente nulla di concreto, apparentemente, per lui.

Mi sorprende vedere come il bene che voglio a chi è lontano intensifichi e renda più vero il bene per quelli che invece ho a fianco tutti i giorni.
E viceversa.

È proprio una cosa dell'altro mondo, questa.

Dove si impigliano le stelle


martedì 4 giugno 2013

Full metal jacket (cit.)

Se vai in giro per la città, a Bogotà, è pieno di militari: sui ponti, agli incroci, per le strade.
In uniforme e armati fino ai denti.

L'esercito è una realtà piuttosto presente.
Ed è un bene, nel senso che quando vedi un militare, in generale, sai di essere un po' più al sicuro.

Anche quando esci dalla città, ad esempio, non so, per la strada che si fa per andare al Llano, è pieno di soldati, che ogni cinque/dieci chilometri, ti guardano sorridenti dal bordo della strada e fanno il segno col pollice, come a dire: tuttok, vai tranquillo.

È rassicurante, d'accordo.
Ma per me, che non sono abituata, vivere in un paese in cui, per sentirti al sicuro, hai bisogno di vedere delle persone che impugnano un arma da fuoco..bhè, mi sembra evidente che questo non è il migliore dei mondi possibili.

lunedì 3 giugno 2013

o natura, natura (cit.)

Comunque il fatto è questo: appena esci da Bogotà, che pur essendo circondata dalle montagne (che è consigliabile non visitare, perché ci sono i guerriglieri...) è una metropoli gigantesca, ti ritrovi in mezzo a una natura che fa impressione.

cioè.
non so se riuscirò a spiegarmi.

ma l'impressione è che qui la natura sia più natura.
una specie di natura molto molto natura.
una natura potentissima.

gli alberi sono alberi-alberi.
i fiori sono fiori-fiori.
e i colori.
e le montagne.
e le pianure.
e tutto, insomma, andrebbe detto il nome per due volte di seguito, per rendere bene l'idea.

allora ho pensato ai primi che sono arrivati qui in sud America: gli spagnoli, i portoghesi e compagnia bella.

Come si devono essere sentiti, in mezzo a questo mare di natura-natura grandissima e imponente e con una forza dentro che quando la guardi dopo un po' quasi ti fa male agli occhi, tutta insieme così.

ho pensato che si devono essere sentiti davvero piccolissimi e inermi.

e che forse la violenza che (a volte) (purtroppo) (forse) hanno usato...bhè, in realtà era paura.
e senso di sproporzione.