martedì 30 aprile 2013

Ooo gloriaaaa inmarcesibleeee....

Da queste parti sono piuttosto nazionalisti.
o patriottici, forse sarebbe il caso di dire.

Nel senso che un colombiano, alla sua colòmbianità, ci tiene.
Soprattutto rispetto all'appartenenza ad altri paesi dell'America latina.

È che noi, in Europa, che siamo tanto lontani, ne facciamo di tutta un'erba un fascio ed è difficile immaginare la differenza tra un colombiano, un argentino, un messicano, un cileno, eccetera.

Invece in realtà le differenze ci sono e non sono da poco.
Nel bene e nel male.

Comunque.
Alla radio almeno due o tre volte al giorno, a radio unificate, tutte allo stesso orario, trasmettono l'inno nazionale.
È questo:
INNO NAZIONALE COLOMBIANO

Per cui capita che sei in taxi, c'è l'auto radio accesa e tu ti spari a millemila decibel l'inno della nazione.
È una cosa strana, che la prima volta che l'ho sentita pensavo fosse successo qualcosa o fosse una festa speciale o ci fosse una partita di calcio o qualcosa del genere.
Invece no, è normale.
Succede tutti i giorni.
A me è una cosa che un po' mi fa ridere, un po' mi colpisce e un po', boh, non so come spiegarlo, mi fa sentire come se fossi in un'altra epoca storica, per dire.

Mano sul cuore, grazie.

domenica 28 aprile 2013

para que?

In spagnolo ci sono queste due congiunzioni porqué e para que.
Di per sè corrispondono ai nostri: perchè e affinché. Anche se in realtà non è proprio così.

Cioè porquè indica una causa. Para que indica lo scopo, il "motivo finale" il vantaggio a cui si arriva facendo qualcosa.

Ora, ieri sera passando davanti al supermercato per andare a comprare la pizza e incontrando, come al solito, lungo la strada, una serie infinita di poveri e gamin ai bordi delle strade o la signora fuori dal supermercato, vestita di stracci, che vendeva fiori e borse per la spazzatura, così come davanti a tante cose che mi succedono o a tante situazioni piene di dolore che mi capita, più o meno da vicino, di incontrare, ho cominciato a intuire una cosa:

che spesso ci facciamo la domanda sbagliata.

Ci chiediamo porquè.
Cercando una risposta che difficilmente sarà possibile trovare e che non fa altro che sottolineare l'ingiustizia della situazione che ci troviamo a guardare, a volte tanto evidente e schiacciante.

mentre invece dovremmo chiederci: para que?
e cioè: dove porterà, questo dolore che vedo, questa ingiustizia a cui sono di fronte, questa fatica, questo problema?
dove mi porterà? a cosa mi servirà? cosa ci guadagnerò?

perché questa domanda, invece, apre lo sguardo e fa respirare.
e sempre, credo, ha una risposta.
anche quando ci vuole del tempo per trovarla.




sabato 27 aprile 2013

invito al cinema

attenzione.
questo è un messaggio importante, fondamentale, imprescindibile.

quindi vi pregherei la massima attenzione e disponibilità.

qualche sera fa, su suggerimento di un'amica, ci siamo viste QUESTO FILM.
il link è all'indirizzo Youtube dove potete trovare il film completo in lingua però spagnola.

ho trovato un'altra versione, in inglese, ma coi sottotitoli in italiano: QUI.

é un film che a mio parere dovrebbero vedere tutti, mostrarlo nelle scuole, organizzare proiezioni pubbliche in tutti i multisala.
invece in Italia e molti altri paesi d'Europa è stato censurato e non arriverà mai nelle sale cinematografiche.

oltre ad essere un film con un grandissimo Andy Garcia ed essere girato in modo impeccabile da qualsiasi punto di vista, è una storia vera più del vero ed è una roba da togliere la pelle di dosso.
Per chi lo conoscesse, ad esempio, Il potere e la gloria di G. Greene è ambientato lì dentro, che se non l'avete mai letto...bhè, dovreste.

quindi, vi prego, trovate due ore e guardatevelo.

non è un consiglio.
è un must.
fidatevi.

venerdì 26 aprile 2013

Dìa del idioma


In Colombia vanno pazzi per celebrazioni, rituali stufosi, cerimonie e via dicendo.
Oggi si celebrava il dìa del idioma, aka "giornata della lingua".

Due ore e mezza di premiazioni di concorsi letterari, alzabandiera, inni nazionali e via dicendo.

Con tanto di finale di gara di spelling in italiano, spagnolo e inglese.

Io tifavo per Sofia, una nanerottola colombiana di terza elementare che sapeva fare lo spelling, senza fare una piega, in italiano, di parole tipo: ottuagenario, parallelepipedo e stupefatto.
Però è arrivata seconda.
Uffa.


giovedì 25 aprile 2013

25 aprile!

Oggi è il 25 aprile e in Colombia mica si festeggia niente, che è una festa tutta italiana, però, dato che quello in cui insegno io è un collegio italo-colombiano, allora l'abbiamo festeggiato anche noi e stamattina eravamo a casa da scuola, che tanto sabato mattina dobbiamo andarci che c'è la consegna dei pagellini di metà quadrimestre e quindi comunque andiamo in pari, non è che.

comunque, dato che eravamo a casa da scuola siamo andati alla fiera del libro di Bogotà, che è aperta fino al 1 maggio e ne abbiamo approfittato.

scolaresche a gogò in uniforme scolastica, alcune delle quali davvero impresentabili e vabbè.
comunque abbiamo fatto un giro ed è stato bellissimo:




poi ho comprato il mio primo libro in lingua originale colombiana doc, che, ho pensato, se devo comprare un libro colombiano tanto vale comprarlo di uno scrittore colombiano, così, dato che Cent'anni di solitudine e Cronaca di una morte annunciata li avevo già letti e questo mi mancava, che era un sacco che volevo leggerlo, allora l'ho preso, ecco, ve lo presento:


infine c'è stata questa scena assurda e comicissima che ora vi descrivo:
mentre giravamo tra i padiglioni ci siamo accorti che c'erano i Monsieur Perinne, che sono quel gruppo di Bogotà che vi avevo presentato qualche tempo fa, tipo qui.
allora siamo andati a salutarli e conoscerli, chè Benny vuole invitarli a scuola a tutti i costi.
mentre stavamo chiacchierando con loro (giovanissimi e gentilissimi) sono arrivate un gruppo di ragazzine, si sono avvicinate a Benny e le hanno chiesto se potevano fare una foto...ovviamente Benny si è scostata e, indicandogli i ragazzi della band, ha detto loro: certo, chiedeteglielo...quando si è sentita rispondere: No, noi intendiamo se possiamo fare una foto con te.

!!!

così per una decina di minuti, una dietro l'altra, si sono fatte fotografare con Benny. ecco le prove:

credo sia per via dei capelli. credo. ma trattandosi di studenti colombiani non si può mai dire che criterio abbiano usato per una richiesta del genere. vabbè. vivo con una famosa. punto.

mercoledì 24 aprile 2013

fomi

ecco, vi presento il fomi (vedi foto qui sotto).

ora, il fomi in italia non esiste.
proprio, non esiste. o almeno: io non l'avevo mai visto. e dato che tutti sanno il mio amore per gli art attack e per i collezionismi insensati di qualsiasi materiale pseudoartistico e in qualche modo riciclabile...bhè, se non lo conosco io, ho ragionevoli motivi per affermare, con una certa sicumera che no, il fomi, in Italia, non esiste.

ora, è anche difficile spiegarvi cosa sia, dato che in Italia non esiste, anche perché immagino che dalla foto che ho allegato in realtà a voi non sembri per nulla differente da del normale cartone o cartoncino colorato e invece...bhè, invece non è così.

il fomi è il fomi: cioè una specie di panno-carta piuttosto denso, morbido, flessibile, resistente e reperibile in qualsiasi colore e in fogli di qualsiasi dimensione.

Qui lo usano soprattutto alle elementari per fare grandi, enormi, meraviglioserrimi art attack.

ho deciso che quando mi stufo di fare la professoressa e mi viene voglia di metter su un'impresa o qualcosa del genere diventerò importatrice e distributrice o, perché no, anche produttrice, di fomi in italia.
é la volta che faccio i soldi, credo.

The tempest



martedì 23 aprile 2013

Una delle cose più grandi e incredibili che si imparano facendo il lavoro che faccio io, è che le cose sono per me, ma non sono mie.

Tutte, le cose.

Coi ragazzi è di un'evidenza clamorosa.
Che loro sono per me, mi sono in qualche modo regalati, la loro curiosità, il loro diventare grandi, scoprire se stessi e le cose, rispondere alle provocazioni, farsi domande, provare a dare risposte...tutto questo è per me, è un regalo, uno spettacolo incredibile a cui quotidianamente mi è data la grazia di poter assistere.

Ma non è mio.
Non posso decidere quasi niente, di loro, del rapporto con loro, di ciò che a loro accade, nè tanto meno la risposta che daranno alle proposte che gli faccio.

Sono per me, ma non sono miei.

Sembra una cosa facilissima, quasi banale e invece a me ci sono voluti anni solo per arrivare a pensare a questo concetto con una certa chiarezza, figurarsi quanto mi manca ancora per diventarne realmente consapevole.

Però, ecco, alla fin fine è una cosa liberante, questa. Che le cose, tutte le cose, siano per me ma non siano mie.
Liberante e grande.

X files



lunedì 22 aprile 2013

Hoy me quedo contigo.

La mattina, quando arrivamo a scuola (all'alba, vi pregherei di ricordare), quando arrivano tutti i ragazzi e bambini dalle rute, noi siam lì ad aspettare che suoni la campana e a controllare che, nel frattempo, non si uccidano fra loro, sostanzialmente...

Stamattina ero lì che li osservavo e Pablo, 4 o 5 anni e, credo 70 centimetri di altezza o poco più, mi si avvicina, mi abbraccia e mi dice, sorridente: "hola! Hoy me quedo contigo, sì?!" Che tradotto significa: ciao, io oggi voglio stare con te, va bene?

Volevo dirvi che mi sono commossa.
E che sarebbe così grande la vita e tanto più semplice, se fossimo più capaci, come un bambino di quattro anni, làddove riconosciamo la bellezza, una simpatia, qualcosa di grande per noi, di dire: io oggi voglio stare con te.
E farlo, davvero. E non rinunciarvi.

Come si riempirebbe, la vita, di cose grandi e meravigliose.

Come note su un rigo II



sabato 20 aprile 2013

cronistoria per immagini di una gita


Ordunque, ho dormito una decina di ore e mi sono ripresa.
cronistoria per immagini della gita di ieri.

Siamo stati, come vi dicevo, con la prima e la seconda liceo, a Villa de Leyva, un paese nella regione di Boyaca, a nord est di Bogotà.

all'andata ci abbiamo messo un tre ore e mezza e bòn. il ritorno è stato un po' più traumatico, che ce ne abbiam messe quattro e mezza, di ore, grazie al simpatico traffico di Bogotà.

detto questo.
quando siamo arrivati abbiamo come prima cosa fatto questa visita al vigneto:
che non è una cosa normale, in Colombia, che ci sia un vigneto, dato che il clima non è dei più adeguati.
però in questo posto c'è una specie di microclima che consente la produzione di vino e allora questi ci provano, insomma.
per noi che siamo abituati al vino italiano, sinceramente, il risultato non è granchè, poi io non è che me ne intendo proprio, però, insomma, la degustazione finale non mi ha esaltato, ecco.
il posto comunque era bellissimo e la guida brava.





dopodichè siamo andati in questo museo dei Fossili.
qui la guida a dir la verità lasciava un po' a desiderare...però era un posto impressionante comunque, dato che c'era il simpatico amico che potete vedere qui sotto:
un cronosauro gi-gan-te-sco. praticamente un coccodrilo alato gigante fossile. che, tipo un miliardo di milione di anni fa dove oggi c'è mezza colombia, c'era il mare. e quindi ci sono un sacco di fossili di conchiglie e animali marini eccetera. vabbè, impressionante.



poi siamo stati in quest'altro posto molto suggestivo, che viene chiamato el Infernito che è stato chiamato così dai coloni (preti) che sono arrivati in sud america a colonizzare, che dopo capite secondo me perchè l'hanno chiamato così.
praticamente è una specie di Stohenege colombiano, solo che ci sono questi...ehm...come dire...falli giganti, ecco, l'ho detto. di pietra. vabbè. interessante, eh. l'hanno fatto i Muiscas, che sono il popolo precolombiano che viveva in colombia prima dell'arrivo dei coloni.
e bòn.






a questo punto eravamo stanchi e affamati.
così ci siamo spostati nel paese vero e proprio e siamo andati a mangiare.
il paese di Villa de Leyva è bellissimo.
tutto coloniale, perfettamente conservato, arrivati nella piazza principale della città giuro che ti aspettavi da un momento all'altro che arrivasse, non so, tipo: Zorro.
bellissimo, davvero.

La sfortuna è stata che ha piovuto/ è stato nuvolo quasi tutto il giorno.
non oso immaginare cosa sarebbe stato col sole, un posto così.
incredibile.
vabbè.








In realtà in questo posto ci sono un sacco di altre cose da visitare, ad esempio ci sarebbe stao l'Ecce homo, che è tipo il primo monastero fondato in colombia da monaci coloni arrivati nel 1400 e rotti dall?europa, dicono sia un posto bellissimo, in mezzo al deserto, che però noi non abbiamo fatto in tempo a visitare.

vi lascio con Carlos, uno dei miei alunni preferiti di seconda liceo, che a pranzo si è dedicato a una serie di espressioni facciali degne dei migliori personaggi di Kubrik:



venerdì 19 aprile 2013

Oggi sì, sono andata in gita...

Ma sono troppo stanca per raccontarvi ora.
Chè il viaggio di ritorno è stato interminabile.

Però domani vi racconto, promesso.
Notte, crollobum.

giovedì 18 aprile 2013

Amici, domani vado in gita!
Con la prima e seconda liceo andiamo a Villa de Leiva, un pueblo coloniale e uno dei posto più antichi della Colombia, si trova a 4 ore di pullman da Bogotà, in una zona che dovrebbe anche essere un po' più calda della città.

In questo posto c'è un sacco di roba:
- un vigneto, che visiteremo (che voi dite, vabbè, normale, un vigneto, e ho capito, ma lo dite perché in Italia ogni due metri ce n'è uno, qui invece mica è una cosa normale...)
- un osservatorio astronomico antichissimo, tipo stonehenge, per intenderci, della cultura Muisca, che sostanzialmente era il popolo precolombiano che viveva in Colombia prima della colonizzazione, che visiteremo.
- il primo monastero dei coloni, che non visiteremo
- un museo archeologico
- un museo dei fossili

Insomma, tanta roba.

Prometto fotografie a gogo fin quando il mio iPhone non sverrà esaurito.

Come note su un rigo



mercoledì 17 aprile 2013

Son giorni di videoconferenze, chè tutti gli anni i professori organizzano, per gli studenti del mio liceo, videoconferenze con professori italiani, via skype.

di qualsiasi materia, eh (fisica, scienze, letteratura, arte...).

è proprio una cosa bella, e una grande opportunità, per i miei studenti.

è solo che la cosa è piuttosto complicata.
tra il fuso orario (sette ore non sono poche) e le difficoltà logistiche (memento: sono nel terzo mondo, sono nel terzo mondo, sono nel terzo mondo...) a volte la cosa diventa difficile.

tipo oggi, che c'era la conferenza su Dante con il rettore della mia scuola italiana, Franco.
e niente, non c'è stato verso, la linea cadeva ogni cinque minuti e abbiamo dovuto rimandare.

amen.
quando il gioco si fa duro...

La felicità è un pallone, lo sanno tutti



martedì 16 aprile 2013

La ciudad

Nella scuola in cui lavoro, se sali le scale dell'edificio della scuola media, giri a destra nel corridoio e arrivi in fondo, ti ritrovi davanti a una grande vetrata.

Oltre la grande vetrata, ve la presento, c'è Bogotà.
La sera, o la mattina, non importa, è una cosa che ti pulisce lo sguardo e ti fa sorridere il cuore.

O no?


domenica 14 aprile 2013

cari 25 lettori, abbiamo un'altra stella qui in Colombia!
Si chiama Luis Castro (cliccare qui), ha 9 anni, vive a duecento metri da casa mia, è figlio di due cari amici e ha vinto (ovviamente nella sua categoria) il campionato regionale di scherma (o nazionale?, non mi ricordo).
vabbè.
E' un grandissimo.

W Colombia.

sabato 13 aprile 2013


oggi è sabato, sì.
teoricamente niente scuola.

ma dato che i mostri di terza media sono in uno stato pietoso con le tesine per l'esame e il 4 giugno iniziano le danze (che sembra tanto ma invece è, tipo: dopodomani o quasi), allora Benny ha avuto la brillante idea di invitarli a studiare da noi (una ventina di mostri in tutto), qui sotto che c'è un salone coi tavoli e le sedie e si può studiare in tanti.

e quindi.
come potete vedere dalle prove fotografiche che ho prodotto e riportato al seguito, è stato uno splendido sabato di studio matto e disperatissimo.

ci si riposa solo dopo morti, diceva.


venerdì 12 aprile 2013

Allordunque, per la cronaca: non siamo passati.
Sto parlando della fase regionale delle olimpiadi di italiano.
Hanno vinto un paio di ragazzi spagnoli dal nome e cognome interamente e inequivocabilmente italiani e poi un altro studente brasiliano e niente, nè Luis Camilo nè Laura ce l'hanno fatta.

Peccato. In palio c'era la possibilità di andare a Firenze a fare la finalissima nazionale.

Però.
In compenso da domani saremo quasi famosi.
Ci hanno chiesto un'intervista a proposito della nostra partecipazione alle olimpiadi e domani, ore 14.00 (ora italiana) o anche 7.00 del mattino (ora colombiana), potrete ascoltare direttamente la voce di Luis Camilo che risponde alle domande dell'intervista su radio Italia 3.

QUI trovate il link del sito web della radio, se voleste collegarvi e ascoltarla.
E se per caso ve la perdete perché, chessó, siete all'iper a far la spesa, no panic: QUI INVECE potrete trovare il podcast dell'intervista anche nei giorni successivi.

Vi aspettiamo numerosi.
L'intervista dura una cosa come tre minuti.
E Luis Camilo è molto molto orgoglioso di tutto questo.

giovedì 11 aprile 2013

Where the streets have no name (cit.)


Le strade, a Bogotà come in tutto il continente americano, credo, non hanno nome.
Hanno numeri.
La settima, la novena, la 116 eccetera.
In realtà è un sistema piuttosto intelligente.
La città è divisa in due: la parte verso sud e la parte verso nord.
Dalla strada centrale le strade sono numerate progressivamente, in maniera parallela: c'è la prima, la seconda, la terza, la quarta e così via "hacia el northe" o "hacia el sur" (verso nord o verso sud).
Le strade grandi si chiamano "carreras", che più o meno corrisponde alla nostra "via", quelle più piccole, che incrociano le carreras, sono le "calles" che più o meno equivalgono al nostro termine "strada", o forse è il contrario, non ho ben capito.
Per cui quando tu devi andare in un posto o devi dare un indirizzo, l'indicazione è sempre l'intersezione tra due strade. Ad esempio: io abito nella "carrera 27 con 45, hacia el northe".

Questa cosa ha un grande vantaggio: quello di (più o meno, perché in realtà poi ovviamente il sistema è un po' più complesso di così) sapere sempre dove ti trovi e, soprattutto, se sei vicino o lontano rispetto a un altro luogo.
Cioè, se un amico mi dice: vienimi a trovare, abito nella "45 con 23", io so che non è molto lontano da casa mia. Mentre se dovesse dirmi: abito dalle parti della 116, so che minimo minimo mi aspetta una mezz'ora o anche più, in taxi...
È comodo, insomma.
È un sistema intelligente, ecco.

A volte penso che sarebbe tanto comodo se ci fosse un sistema simile per capire quanto lontano o vicino sei rispetto alle persone.

Non so, ad esempio, se stamattina William, al posto di farmi dannare tutta l'ora, avesse potuto dirmi: "prof, stamattina se lei si trova nella settima, guardi, io sto almeno alla 75", io subito avrei potuto capire che avevo tanta tanta strada, da fare, per arrivare là dov'era il suo cuore e andare a trovarlo.
Invece mi è toccato sbraitare per un'ora e mezza.
E alla fine, secondo me, non sono arrivata nemmeno alla 30.
Mi sa che William è ancora là che mi aspetta.
Domani prendo un taxi e lo raggiungo, se riesco.

mercoledì 10 aprile 2013

Any given morning (cit.)

Comunque non c'è verso: non ci si abitua.
Cioè: i bioritmi, le abitudini, i cicli solari e via dicendo. Sì, va bene, magari il tuo corpo si può anche tarare su altri orari e su un ritmo di vita differente.
Non è quello il problema.

Il fatto è che è la mia mente, a non farcela: ogni sacrosanta mattina, da ormai otto mesi e rotti, quando la sveglia suona alle cinque e mezza e io apro gli occhi, il mio cervello non fa che ripetere un'unica, chiarissima frase:
No, non è umano.

Porcamiseria.

Facciamo un puzzle? (Lavori in corso)



martedì 9 aprile 2013

Se vivi a Bogotà e ti viene voglia di mangiarti una pizza non hai molta scelta: o ti rassegni, dimentichi la pizza italiana e ordini un asporto qualsiasi, chessó, da pizzahut o una schifezza del genere...oppure...bhè, oppure vai Da quei matti, che è una pizzeria stratosferica, che noi ci siamo andate ieri sera, con le italiane (ne avevo già parlato, vero? Delle italiane...), vabbè.

Comunque: pizza vera.
Con mozzarella vera.
Pasta di pomodoro vera.
Prosciutto vero.

Insomma, un rifugium peccatorum.
Non è a basso costo, ma val la pena, giuro.

No, ve lo dico che, nel caso passaste da queste parti, si sa mai, almeno vi salvo una cena.

E allora corri corri come il vento (cit.)



lunedì 8 aprile 2013

Taxi!

Il taxi è uno dei mezzi di trasporto più frequenti, a Bogotà.
Costa poco, meno che un biglietto dell'autobus, se lo prendi in almeno due o tre persone.
È comodo.

Bisogna stare attenti, ma è comodo, insomma.
Noi lo prendiamo spesso, per tornare da scuola, ad esempio, tutti i giorni.

Per chiamare un taxi ti metti al bordo della strada e quando ne vedi passare uno libero alzi il braccio, per chiamarlo e quello si ferma.

Se è una giornata bella, col sole, e sei in una zona ricca della città...quasi, per un momento, se guardi in alto, i palazzi e il cielo e poi alzi il braccio e chiami un taxi...puoi sentirti quasi come Sarah Jessica Parker in sex and the city...dura pochi istanti, ma sono momenti gloriosi.

sabato 6 aprile 2013

megalitro

il latte, da queste parti, lo vendono in busta.
come quello che vedete qui sotto.
sono buste da un litro-un litro e mezzo.
a lunga conservazione, in genere.

trovare il latte in bottiglia o cartone è una specie di miraggio.
il latte fresco? bhà, non pervenuto.

per quale motivo?
mistero.

dato che poi di solito lo vendono in pacchi di 5-6 buste alla volta, quando ti tocca andare a fare la spesa e comprare il latte, la cosa diventa praticamente un'impresa da ercole.

son cose.

venerdì 5 aprile 2013

Olimpiadi di italiano: le semifinali

Oggi qui grande fermento: semifinale delle olimpiadi di italiano.
Qui sotto potete osservare i due semifinalisti, Laura e Luis Camilo, mentre partecipano alla gara.
Se uno dei due vince va in Italia, a Firenze, per la finalissima.

Gareggiano a livello "regionale" con gli altri semifinalisti che sono gli studenti delle altre scuole italiane all'estero che hanno partecipato al concorso.

Luis Camilo ci crede un sacchissimo.
Io sono dalla sua parte.


giovedì 4 aprile 2013

Promemoria numero 2


Ovvero dell'essere a casa, sempre.

La verità vera è che io per anni non mi sono sentita a casa mai, in nessun luogo, in nessuna casa.
Nemmeno quando ho avuto un posto mio, proprio mio, che ho potuto riempire all'inverosimile con oggetti, colori, gadget tra i più inutili che la storia dei gadget inutili può testimoniare e che in qualche modo gridassero a me stessa e al mondo che io c'ero, ero unica, avevo un posto.

Mi ha impressionato tornare qui, dopo una settimana trascorsa in Italia, a quasi otto mesi dalla mia partenza, scendere dall'aereo dopo il numero di ore devastanti e, fatti salvi i primi minuti di spaesamento e disagio, scoprirmi contenta di essere qui.

Che verrebbe da dire: contenta di essere in Colombia??? Contenta di essere di nuovo tanto lontana da casa, dagli amici, dagli affetti (e, in un certo senso, anche dalla civiltà...)???
Come puó essere che sei contenta???
(Perché poi, il punto, è che ero proprio contenta, non rassegnata, non abituata, non "inserita"....contenta, insomma).

Allora vi dico due cose.
Uno: contenta non significa senza dolore, o senza nostalgia o senza preoccupazioni o senza fatica o senza mancanza o senza.
Insomma, la parola contenta non ha dei senza, dentro.
Due: contenta non significa allegra o spensierata o stupidamente sorridente senza motivi.

Contenta significa: piena, densa, carica di consapevolezza, cosciente del fatto che ovunque nel mondo, in qualsiasi condizione io mio trovi, tutto è per me e non c'è circostanza o situazione, nemmeno quelle che contengono anche il dolore o la fatica o la preoccupazione, che non sia per me promessa di una scoperta di un bene grande e irrinunciabile.

Insomma.
Io sono contenta.
E questo mi fa sentire a casa, sempre.

mercoledì 3 aprile 2013

promemoria uno

Ovvero di quella volta che ho conosciuto di persona la meraviglia e le ho stretto la mano.

Era lunedì scorso.
Ero in Italia. Lo sapevano in pochissimi. cioè, per esempio ai miei alunni italiani non l'avevo detto, che, appunto, volevo fargli una sorpresa.

E infatti.
Io vorrei potervi raccontare le loro facce, i loro occhi e i loro sguardi, quando sono entrata in classe a salutarli, lunedì mattina, inaspettatamente.

Non si possono raccontare, in realtà. E anche avessi avuto una macchina fotografica o una cinepresa non sarebbe stato sufficiente a descrivere le loro reazioni (le più disparate) e il loro silenzio incredulo e (in alcuni casi) grato.

Io so questo, però, e questo ve lo posso raccontare:
che in quel momento mi è stato evidente, e di un'evidenza imbarazzante, che in realtà, tutte le mattine, quando mi alzo, quello che desidero, andando incontro alla giornata, è questo: lo sguardo di qualcuno che mi guardi, si stupisca e si commuova per il solo fatto che io esisto e per questo è grato.

Di questo abbiamo bisogno, non altro: di essere guardati con meraviglia e gratitudine.
E quello che facciamo, anche quando sbagliamo, è sempre, in qualche modo, per il desiderio di uno sguardo così.

sguardo in spagnolo si dice mirada.
è una parola che mi piace tantissimo e che preferisco a quella italiana, perché in spagnolo suona ampia e si porta dentro un respiro infinito, sembra scivolare come gli occhi quando sono davanti al mare.

Io, a una mirada su di me come quella, non voglio più rinunciare.


martedì 2 aprile 2013

Verde Lombardia! (Cit.)


Nei giorni trascorsi in Italia non ho avuto molto tempo per scattare foto, ma qualcuna ne ho fatta, ora le piazzo qui sotto.
Sono altri colori e altri cieli, quelli di casa mia, rispetto a quelli che vedo qua.
È che il cuore ha angoli diversi, il cielo di Bogotà ne riempie alcuni, altri sono riservati al cielo d'Italia e non ce n'è, non si può mica far cambio.





lunedì 1 aprile 2013

Di una cosa sola poi, alla fine, mi spiace, ecco.
Che io alla fine poi la sorpresa ve l'ho fatta.
Ma non a tutti tutti.
Che a casa in Italia, alla fine, ci sono rimasta solo una settimana.
E una settimana è pochissimo, altro che, per cui io avrei voluto vedere e salutare e abbracciare almeno cinquecentoventitremillemila persone che poi in verità magari non c'è stato il tempo e amen, alcuni non li hai visti, piccola i, è inutile che mó piangi sul latte versato, che non si può fare tutto, occorre scegliere, ogni tanto e blablabla.
Però ora che son qui, su questo aereo gigante che mi riporta nel mio nuovo nuovo mondo, a tanti chilometri dagli occhi e dalle braccia delle persone che ami di più al mondo e con le ore di fuso orario, che mannaggia all'ora solare, aumentano invece che diminuire, e niente, insomma.
Volevo dire che a casa ci sono stata una settimana e ha piovuto tutti i sacrosanti giorni tranne uno, l'ultimo.
E però io il sole ce l'avevo in continuazione nel cuore e negli occhi, che le persone che ho potuto vedere e salutare e abbracciare sono il mio sole e me lo sono portato appresso ogni singolo momento.
Dopo in questo esatto momento, che mi sono alzata stamattina alle cinque e ora sono a casa a Bogotà ma a questo punto mi si chiudono proprio gli occhi, che qui sono le nove di sera, ma in Italia dovete fare più sette e così per il mio corpo in questo momento sono le  quattro di mattina, che è come dire che sono sveglia da quasi 24 ore consecutive, anche perché in aereo non ho chiuso occhio e ho corretto una cosa come 4 pacchi di compiti in classe di filato e poi i film facevano schifo e quindi niente.
Insomma.
Son molto molto stanca.
E domattina sveglia alle cinque e mezza e via che si ricomincia col lavoro.
Però lascio giù qui due promemoria di due cose che vi devo assolutamente raccontare nei prossimi giorni, quando mi riprendo e cioè:
Uno: di quando ho conosciuto di persona la meraviglia e le ho stretto la mano.
Due: di quando mi sono accorta che io sono a casa sempre, anche quando non sono a casa.