venerdì 31 maggio 2013

Che quando sono andata in centro a cercare il regalo per Juli, siamo entrati in posti (ce n'erano a decine) pieni di cose così.

W il Sudamerica.



giovedì 30 maggio 2013

Tempo di grazie

Stamattina arrivo a scuola e mi si avvicina Luis Camilo.

Mi dice: guarda.
E mi da questo:

Inizialmente lo guardo e non capiso, poi lo apro e questo libro diventa un regalo per me.

Con una dedica bellissima che dice:
"I professori influenzano l'eternità; nessuno puó dire fin dove può arrivare la loro influenza" (H.B. Adams)

E di seguito:
" grazie per tutto. Quello che ho imparato quest'anno con lei non si limita alla classe.
Con tutto l'affetto del mondo, 
Luis Camilo.

Perché lei abbia sempre con sè un pezzetino di Colombia"

Ora.
Non so se questo è il mese ufficiale della gratitudine nei confronti dei professori o che.
Ma, nel caso, bisognerebbe istituirlo anche in Italia.

mercoledì 29 maggio 2013

Una volta all'anno (se va bene)

Ieri mi é successa una cosa che in genere, all'insegnante medio, accade tipo 1 volta all'anno (se va bene).

O comunque, magari ad altri succede più spesso, non so, insegnanti migliori di me (quasi tutti), però, insomma, a me accade circa con quella scadenza lí (una volta all'anno, forse, se va bene).

Il fatto è il seguente: finisco una lezione in terza media, su Uomo del mio tempo, di  Quasimodo.
Alla fine della lezione, mentre sto sulla porta ad aspettare il collega che sarebbe entrato dopo di me, Isabella mi si avvicina e, quasi sotto voce, come vergognandosi, mi sussurra, tutto in un soffio: "grazie prof, ha fatto una lezione bellissima".

Quando questo accade (una volta l'anno, forse, se va bene) io rimango sempre a bocca aperta e imbarazzata e non so mai bene come reagire.
Se dire prego o grazie anche io o non so bene cos'altro.
Così in genere alla fine non dico niente, sorrido, mi impappino e forse arrossisco anche.

Dopo, sempre (quella volta all'anno, se va bene, in cui questo succede) me ne cammino per il corridoio della scuola come volando, leggerissima e con i pensieri chiari, illuminati dalla gratitudine.

Chè il mio lavoro, spesso, è senza gratitudine. O meglio. La maggior parte delle volte è una gratitudine sommessa e invisibile, che cresce sottoterra come un tubero e in genere ci vogliono degli anni, prima che si decida a uscire allo scoperto in un germoglio verde vivo.

Ma quando invece succede così, ti senti come nella fiaba della pentola magica: semini e di colpo vien su una pianta altissima e tu, da lí in alto, sei vicinissima al cielo.

To the light


martedì 28 maggio 2013

Cose (meravigliose)che ti facilitano la vita

Oh, ho appena scoperto questa app meravigliosa:

Si chiama tapsi e, gratuitamente, se vivi a Bogotà, tu, con un click, chiami un taxi. Gratis.
La chiamata, ovviamente, non il taxi.

Comunque: steve jobs santo subito.

Centro


lunedì 27 maggio 2013

dei trucchi infingardissimi

qualche giorno fa hanno rubato il cellulare a chiara.

pieno giorno, a galerias, che è diciamo una zona commerciale vicina a casa.
era tipo un sabato o una domenica pomeriggio, tanta gente in giro.

funziona così:
le hanno tirato qualcosa addosso.
tipo qualcosa di abbastanza schifoso e puzzoso, sui capelli e sulla testa.
improvvisamente compare alla sua sinistra una signora gentilissima che le offre un fazzoletto e le chiede se ha bisogno di aiuto per pulirsi.
sorrisi e strette di mano.

quando chiara si allontana e infila la mano in tasca si accorge di non avere più il cellulare, ovviamente.

carini, eh, i colombiani.
(certi, ovviamente, mica tutti, eh, ovvio).

promemoria: se ti ritrovi qualcosa di schifoso e puzzoso tra i capelli non fermarti, non sorridere a nessuno, tira dritto e ci penserai a qualche isolato di distanza, a pulirti.
ovvio, se vivi a bogotà.

I'm going back to the stars (cit.)


domenica 26 maggio 2013

dei racconti, a voce alta.

ieri pomeriggio poi siamo andate in centro, io, gggiulia e vicky.

vicky è la mia vicina di casa, una signora di bho, 40 anni o giù di lì, forse qualcuno in più, dato che ha un figlio, Richard, che è mio alunno ed è già in terza liceo.

comunque.
siamo andate in centro, chè, non mi ricordo se ve l'avevo detto, ma Juli, che ha la mamma che è protestante e il papà che crede negli alieni (giuro), quest'anno ha deciso di battezzarsi (nella chiesa cattolica) e mi ha chiesto di farle da madrina (un grande onore, la verità).
quindi sono andata a cercarle un regalo.

e in centro, soprattutto se devi comprare qualcosa, non è mica il caso di andare da soli.
meglio andare con un colombiano.

per cui grande Vicky mi ha accompagnato.

inoltre ci ha fatto fare un giro e ci ha fatto vedere e spiegato un sacco di cose.

una delle cose bellissime che ci ha mostrato è questa (vedi foto sotto, che non è granchè, ma, appunto, essendo in centro, non potevo tirar fuori il cellulare per fare foto molto liberamente...)

è una piazzetta, piccola e discreta.
e qui succede una cosa fantastica.
è un posto dove ci sono delle persone, giovani per lo più che, per tutto il tempo, sono lì nella piazza e raccontano storie.
inventate o di altri.

raccontano storie, tutto il tempo.
e la gente, li attorno, seduta, ad ascoltare.

ho pensato che questa è una cosa molto molto meravigliosa.
un posto dove c'è della gente che racconta storie e basta, nient altro.

meravigliosa punto.


sabato 25 maggio 2013

Open day (finalmente)

ragazzi, tutto bene.
fenomenale.
grandi applausi, standing ovation eccetera.

felici tutti: genitori, alunni colleghi e anche la sottoscritta.

un grande successo.

nota di colore: ieri Diego (alunno) facendo il cret***  durante le prove rompe il vestito di scena di Daniel (che avrebbe impersonato Thomas Becket).
io ovviamente sclero, mi arrabbio e gli intimo di portarselo a casa e riportarlo sistemato e rammendato adeguatamente stamattina.

stamattina Diego si presenta con il vestito, a suo modo, sistemato.
con una pinzatrice.

no, dico, aveva fatto il rammendo dello strappo con una pinzatrice, vi rendete conto???

un grazie speciale a Juliana.

primo, perché intuendo come sarebbe andata stamattina si era portata dietro ago e filo e così ha sistemato per bene il vestito.

secondo perchè nelle settimane trascorse, ogni volta che mi incontrava, non si scordava di guardarmi negli occhi e ricordarmi, con grande convinzione: "prof, non si preoccupi, andrà tutto bene"; alcune volte rafforzava l'incoraggiamento con una porzione di orsetti gommosi.

senza di lei non ne sarei uscita viva, ne sono sicura.

venerdì 24 maggio 2013

Open day

Allora ci siamo.

Dopo settimane di estenuanti esaurimenti nervosi, domani, finalmente, open day.

Ore dieci, Bogotà, collegio Volta, barrio Usaquén.

Ovviamente siete tutti invitati.

R.S.V.P.

giovedì 23 maggio 2013

Elaborazioni del lutto

Oggi arriva ggggiulia.

Ggggiulia non so chi è.
So solo che si chiama Giulia, è italiana ma studia negli stati uniti e deve fare tipo uno stage o un corso, non ho capito, di tre settimane, qui a Bogotà. Non so su cosa.

Comunque.
Noi la ospitiamo.
Va bene.

Stanotte ho sognato che ggggiulia arrivava, io mi svegliavo, cercavo un paio di mutande e scoprivo che ggggiulia mi aveva rubato tutti i vestiti e li aveva buttati via.

Evidentemente la mia psiche sta ancora elaborando il lutto del Mac perduto.
Speravo il mio post di ieri avrebbe avuto un effetto catartico più deciso ed efficace.

Vabbè.
Speriamo non duri troppo, tutto il processo.
Non vorrei fare del male alla povera ggggiulia nel sonno.

Verde que te quiero verde (cit.)


mercoledì 22 maggio 2013

Questioni di karma

Io a tutte quelle cose del karma e via dicendo non ci credevo.
Non ci ho mai creduto.

Magari davo giusto una sbirciata all'oroscopo, ogni tanto, così, con fare divertito e sprezzante, un po' altezzoso, anche.

Ma, in fondo, non ho mai dato credito nemmeno a una sillaba di questo genere di cose, insomma.

Oggi è stata una giornata pesante, che sabato c'è l'open day della mia scuola e insomma, potete immaginare, il delirio pre-Open day aggravato dal fatto (ve lo ricordo) che siamo in Colombia, la terra del non-sense e del "sì sì, questo lo faccio subito" che in realtà significa "non lo farò mai, manco se mi paghi in dollari".

Quindi insomma, ordinaria amministrazione: arrivo a scuola con la faccia ingrugnita, tratto male tutti o quasi tutti, sgrido quintali di studenti, mi innervosisco, mi arrabbio, perdo le staffe e via, con tutto il teatrino completo.

Poi, finalmente, arrivano le tre e mezza, ed esco da scuola.
Salgo su un taxi.
Mezz'ora di traffico spaventoso.
Arrivo a casa.
Scendo dal taxi.
Mi avvio verso casa, rimuginando sul mezzo chilo di cose che ho ancora da fare prima che finalmente scenda la notte.

A un tratto, come un lampo d'agosto, mi è chiaro: il karma esiste.
Si staglia di fronte a me in dimensioni cosmiche e con sguardo truce e ferocemente divertito.
È l'esatto momento in cui mi rendo conto di aver lasciato il computer (un Mac quasi nuovo) sul taxi, che, ovviamente, aveva già preso il volo.

Inutile dire che quando ho chiamato la compagnia dei taxi per provare a riparare l'irreparabile, il tizio dall'altra parte della cornetta si è praticamente piegato in due dalle risate, quando gli ho chiesto se avevo una qualche possibilità di recuperare il pc perduto. Che razza di domande, siamo in Colombia.

Non ho nessun argomento a mia discolpa.
Solo una dose massiccia di storditaggine acutissima e, forse, un po' di stanchezza accumulata che aggrava lo stato già sufficientemente precario della mia psiche provata.

Detto questo.
Cerco di consolarmi immaginando che il taxista in questione faccia parte (e non è così improbabile) di quella percentuale della popolazione di Bogotà che a stento riesce a guadagnarsi il cibo quotidiano e che abbia per lo meno un figlio di sette anni con una malattia gravissima che, grazie alla rivendita del mio Mac, potrà essere salvato e diventare un giorno un grande medico o avvocato o il presidente della Colombia che risolleverà le sorti di questo paese tanto provato dalla violenza e dalla guerra.

Chè, se il karma esiste, allora a questo punto tanto vale che sia per lo meno buono.

Up


martedì 21 maggio 2013

Guaraní

Ieri un'amica che è tornata da un viaggio in Paraguay per lavoro, ci raccontava che in Paraguay si parla il guaraní, che è tipo la lingua indigena di quel posto lí.

E che in guaraní non esistono due cose:
Non esiste nessuna parola per dire "no".
E non esiste nessun modo per coniugare i verbi al futuro.

Cioè, ho pensato, quindi è una lingua di gente che:
A. Vive sempre nel presente.
B. Vive con una continua disponibilità a dire sí.

Non so, questa cosa mi impressiona un sacco, non so a voi.

Il carretto passava e quell'uomo gridava... (Cit.)


lunedì 20 maggio 2013

il mio debutto in società

forse non è molto leggibile, ma come potete vedere qui sotto ho ricevuto un invito ufficiale dall'ambasciata italiana per un pranzo esclusivo, solo per residenti italiani a Bogotà, che si terrà in data 31 maggio 2013.

roba che mi sono immaginata immediatamente scene da Anna Karenina, per dire, con tacchi vertiginosi e vestiti ampi e ottocenteschi.

R.S.V.P.

domenica 19 maggio 2013

un pezzo di paradiso II

Stamattina siamo andate alla festa del San Riccardo, che è una scuola di cui vi avevi già parlato (QUI), che si trova al sud, nella parte povera di Bogotà.

facevano una festa e noi siamo andati a festeggiare con loro.

ed è incredibile vedere famiglie che non hanno niente (oh, quando dico niente intendo: NIENTE), che giocano insieme con un gusto e una gioia e cantano e ballano eccetera.

insomma, è un miracolo bello e buono, ecco, sì.
lo confermo.



sabato 18 maggio 2013

bollettino medico 2

primo giorno senza febbre.
bene.
sono guarita.

essere malati lontano da casa è come essere malati a casa.
però, in fondo in fondo, ci si sente un po' più soli, anche se non è vero.

e delle medicine coi nomi diversi da quelli a cui sei abituata ti fidi di meno, che cosa strana, questa.

per cui sono contenta che almeno la tachipirina me l'ero portata dall'Italia e ce l'ho a portata di mano, che di lei mi posso fidare.


Via, via, vieni via con me (cit.)


venerdì 17 maggio 2013

bollettino medico

per la cronaca: sono a letto con febbre e tosse.

niente di che.

ieri pomeriggio tornata da scuola avevo 38.5, che a me la febbre non viene praticamente mai.
oggi ho deciso di non andare a scuola.
stamattina al risveglio (ore 6.30) avevo 37.5
buono.

mi imbottisco di tachipirina e aspetto che passi.
cià.

giovedì 16 maggio 2013

Il bottino

Alla fine, ieri, per la "giornata del professore" ho vinto: una rosa, regalatami da un bambino di terza elementare, Juanesteban, un pacchetto di m&m's, regalatomi da Diego, due chupachups (uno nella foto non c'è perché l'ho mangiato), regalatimi da colleghi.

E, mi sa, un virus influenzale, perché é da stamattina che ho i brividi e non c'è un punto del mio corpo che non mi duola terribilmente.

mercoledì 15 maggio 2013

oggi è il "dìa de los profesores"

cioè, il giorno dei professori.
mi chiedo com'è che sono a scuola, allora, invece che essere a casa nel mio letto a riposare.

detto questo.
un professore si accorge di essere alla frutta quando:
arriva la segretaria e ti dice che devi fare una supplenza e tu, al posto di sacramentare, esulti, perchè così hai un'ora in più per finire il programma.

(veroveramente)

martedì 14 maggio 2013

foto-racconto (un esperimento)

ieri, nel posto dove siamo andate a pranzo, sul marciapiede di fronte al ristorante, a un certo punto, è arrivata una bambina. era con suo padre (? credo), stavano su un carretto e ogni tanto si fermavano e raccoglievano cose dalla spazzatura, cosa che capita abbastanza di frequente di vedere, a Bogotà.

solo che questa bambina a un certo punto ha fatto questa cosa straordinaria che ho avuto la fortuna e la prontezza di fotografare all'istante.

ho pensato che una cosa così bella dovevo raccontarla.
e niente, ci ho provato.
qui, sotto la foto, ho messo una specie di racconto che bho, magari non è granchè, ma è la cosa che mi è venuta in mente mentre la guardavo.


Avevo sette anni, ancora me lo ricordo.
Papà mi costringeva a mettere il passamontagna e gli stivali della pioggia.
"Non si sa mai", diceva.

Io non capivo mai a cosa, esattamente, si riferisse.
Cos'era, che bisognava sapere e quando.

Uscivamo prestissimo nel mattino che era ancora notte e lui mi caricava di peso, con le sue braccia magre, sul carretto, davanti, accanto al posto del guidatore.
Poi andava a prendere Felipe, il nostro cavallo spellacchiato e triste, e partivamo.

La giornata era lunga e attraversata da tutte le stagioni.
Ogni pochi metri c'era da fermarsi, scendere e frugare nei sacchi e nei mucchi di immondizia ai bordi delle strade. Ogni tanto si trovavano cose buone, cose che caricavamo sul carretto, da riportare a don Jairo - papà lo chiamava così - da, rivendere contrattando il prezzo.

Ogni tanto trovavo qualcosa anche per me.
Ricordo una felpa rosa, bellissima, della mia misura, che davanti aveva il disegno di un sole grande con la faccia sorridente e dietro, invece, una scritta che non sapevo leggere ma aveva le lettere svolazzanti di allegria. aveva un buco in una manica, ma a me non importava, mi sembrava così bella che non la toglievo quasi mai.
Un'altra volta un braccialetto verde e giallo, di perline di legno. ne mancava qualcuna, ma era bellissimo lo stesso e lo mettevo solo in occasioni speciali, come a Natale o quando papà mi diceva che c'era qualcosa da festeggiare.

Quel giorno era tardi e faceva freddo e ancora non aveva piovuto, ma sarebbe successo presto.
nel quartiere in cui stavamo lavorando c'era in giro poca gente, forse perché era domenica o forse era l'orario del pranzo, a tenere la gente in casa.

Papà stava caricando sul carretto un tavolino di legno, a cui mancava una gamba, ma per il resto era ancora buono.
Io camminavo piano, in bilico sull'orlo del marciapiede, un piede davanti all'altro, come le ginnaste in televisione.

Non guardavo avanti, per non perdere l'equilibrio, ma mi fissavo la punta dei piedi, una alla volta, come procedevano dritti tenendomi sul bordo, a filo.

Quando lo vidi, la prima cosa che mi colpì, fu il colore: un blu fortissimo, faceva quasi male agli occhi, se lo fissavi intensamente, attraverso la carta trasparente che lo avvolgeva.

Era un fiore che avevo già visto una volta, credo, forse ero dalla nonna, in pianura, d'estate.
Mi aveva, mi pare di ricordare, anche detto il nome e raccontato una storia triste e lunghissima che ne spiegava l'origine e il significato. ora i nomi li ho dimenticati e la storia anche, ma quel colore era impossibile, da dimenticare, ti si inchiodava dritto dritto in fondo all'anima e da lì non sarebbe mai più stato possibile eliminarlo: sarebbe diventato l'elemento di paragone con tutte le cose blu che avrei visto nella vita da quel momento in poi. 
Il mare, io, ad esempio, ancora non l'avevo mai visto. Ma mi immaginavo che in certi punti, in certe ore del giorno, forse il mare avrebbe potuto, sì, essere di quel colore lì, accecante e senza fiato.

Persi quasi l'equilibrio, vedendolo, e dovetti scendere dal marciapiede.

Non so chi l'avesse lasciato, abbandonato lì, così nuovo e meraviglioso, in mezzo alla spazzatura.
Forse una fidanzata arrabbiata e risentita - avevo pensato.
O un marito, per ripicca.
Una cosa del genere, insomma. Quei gesti stupidi che a volte i grandi fanno e che agli occhi dei bambini sono tanto indecifrabili.

Improvvisamente, fissandolo per qualche secondo, ebbi, per la prima volta, un pensiero che poi, nella vita, tante volte, se ci ripenso, mi ha salvato.
Seppi, con certezza, che quel fiore non era lì per caso.
Era lì per me.
Perchè io potessi affogarci gli occhi, dentro quel blu perfetto.
E, che se l'avessi fatto, sarei stata salva, per sempre.

Per questo mi chinai piano e lo raccolsi.
Non avrebbe avuto senso portarmelo dietro. 
Sarebbe comunque sfiorito da lì a poche ore, al massimo qualche giorno.
Sul carro non c'era posto per cose come quella: papà voleva cose utili, non necessariamente belle, cose che avrebbe potuto rivendere e il fiore, sicuramente, non corrispondeva a questi criteri.
Portarmelo dietro sarebbe stato solo un impiccio.

Feci l'unica cosa che potevo fare, che avesse senso fare: lo raccolsi e lo posai, piano, davanti a me, in bilico contro il mucchio di sacchi e spazzatura sul marciapiede. dritto come fosse stato in un vaso, tutto il suo blu a spandermisi negli occhi, io, ferma immobile, non potendo far altro che guardarlo.

Rimasi a contemplarne il colore per qualche secondo, prima che papà mi gridasse di andare.
Poi me lo lasciai alle spalle, portando con me solo quel blu che ormai mi aveva colorato indelebilmente tutti i pensieri.

Per il resto della mia vita non ho potuto dimenticarmene.
Tutte le volte che ho incontrato qualcosa o qualcuno che mi ricordasse quel fiore non ho fatto altro che sedermicisi davanti e contemplarlo. Imprimermelo negli occhi, per non dimenticarlo, mai.

Se ci penso, a distanza di tanti anni, è l'unico gesto nella vita che mi abbia davvero salvato.




lunedì 13 maggio 2013

italian food

ieri, che era una giornata in cui avrei dovuto lavorare tantissimissimo, alla fine, ovviamente, non ho concluso niente di niente.

però ci siamo super riposate alla grande.

mattino: mestieri (che la casa sembrava un porcile)
poi siamo andati a pranzo in questo posto nuovo (vedi foto qui sotto), che è un ristorante italiano, con un cuoco pugliese che volevo dargli un bacio, tanto era bravo, che siamo andate con "le italiane" e abbiamo mangiato e bevuto smodatamente.

poi abbiamo preso un caffè con un amico spagnolo che è venuto a trovarci, nel pomeriggio e a quel punto, dato che ormai la giornata era andata, siamo andate al cinema.

ecco.
però oggi qui è festivo, eh.
che, bho, non so bene.
credo si festeggi l'ascensione di Gesù, credo.

quindi stamattina niente scuola e oggi correggerò millemila ore fino alle sfinimento.


sabato 11 maggio 2013

the marriage

quindi, sveglia alle sei e mezza (che comunque è un'ora di sonno più del solito) e via, pronti per il matrimonio.

la sposa doveva arrivare alle otto e mezza.
è arrivata alle nove e dieci.

che io dico: va bene, i "qualche minuto di ritardo", ci stanno...ma 40 mi sembrano decisamente troppi...o no?

poi la benedizione degli sposi da parte della madre dello sposo (perché???) eccetera.

niente riso, alla fine.



venerdì 10 maggio 2013

Volevo dire che domattina noi siamo invitate a un matrimonio.

e occhei, bello.
poi è sabato, va bene, tutto normale.

il problema è che la tizia in questione si sposa alle 8.30.
del mattino.

già.
un matrimonio-colazione, praticamente.

non chiedetemi perchè, ricordate: siamo in Colombia, la terra del non-sense.

l'idea che domattina devo svegliarmi alle sette per andare a un matrimonio mi sta uccidendo.

compatitemi, per favore.

Loro ve li presento: sono Maria Antonia, Daniel e Diego. E sono tra i miei alunni preferiti


giovedì 9 maggio 2013

Desde mi idioma se ve el mar

Mi ero dimenticata di dirvi una cosa bellissima, che ho visto quando sono andata alla fiera del libro.

Su una parete, grandissima, che non sono riuscita a fotografare, c'era questo murales con questa scritta:
"Desde mi idioma se ve el mar"

Che, tradotto (ma come insegna quel film meraviglioso che è Lost in traslation, è un peccato, tradurre, perché sempre, un po', traducendo, si tradisce - questa non è mia, è di Morgan...) sarebbe:

"Dalla mia lingua si vede il mare"

Non trovate sia una frase bellissima?

Mi ero dimenticata di dirvelo

Unduetre...stella!


mercoledì 8 maggio 2013

I bambini, in Colombia, non usano le cartelle, o gli zaini.

O meglio, sì che li usano, ma sono come quelli qui sotto, nella foto.
Degli specie di carrelli a mano o trolley, a me ricordano un sacco quelle sacche con le rotelle che usano in Italia le signore di una certa età per fare la spesa all'esselunga.

Detto questo: il vantaggio è prevenire le varie scoliosi e via dicendo.

Gli svantaggi sono:
- che si duplica lo spazio occupato da ogni bambino
- che, quando arrivano a scuola, prima di entrare in classe, i bambini usano le cartelle per giocare tipo alla lotta romana: partono da punti lontanissimi, con la cartella in resta, davanti a sè e poi giocano all'autoscontro. Niente paura: le cartelle sono indistruttibili...bhè, i bambini...un po' meno.

Nella foto non si vede, ma in genere ogni bambino, oltre al carrello-cartella-trolley, porta con sè anche una specie di piccola borsa di forma cubica che si chiama lonchera.
È un termine mutuato dall'inglese lounch (si scrive così?) che di fatto è una borsa in cui si mette il pranzo. Dovessimo tradurre il nome in italiano la chiameremmo porta-pranzo, credo.
È una cosa simpatica. Io me ne voglio comprare una.

martedì 7 maggio 2013

A.A.A. Anonimo svelasi

Unduetre...prova...a...a....

Mi sentite bene?
Perfetto.

Allora, carissimi 25 lettori, ho un piccolissimo avviso per voi.

Non sono un'esperta della rete, nè tanto meno una blogger professionista.
(Doverosa premessa)

Sono sempre molto emozionata e contenta quando qualcuno lascia un commento a qualcuno dei miei deliranti e talvolta assolutamente trascurabili post.
(Corpo del messaggio)

Ma nel 90% dei casi non so chi siete, nel senso che non vi firmate in alcun modo.
(Cuore del problema e motivo di questo post).

Poi è anche vero che spesso non vi rispondo, anche perché magari ho poco tempo.
(Excusatio non petita...)

Peró, in generale, se trovate il modo di farmi sapere chi siete, quando lasciate un commento, a me farebbe piacere.
(Suggerimento discreto).

Non è che necessariamente dobbiate mettere nome, cognome, ragione sociale, indirizzo, recapito telefonico e codice fiscale...
(Nel caso, però, eventualmente, allora, già che ci siete, se mi fornite anche il numero della carta di credito schifo non mi farebbe)

Potete anche usare un nickname, una perifrasi, un piccolo indovinello al termine del quale mi si illumini il viso di scoperta e allegra consapevolezza....
(Ammiccante simpatia volta a catturare la benevolenza del lettore)

Però, ecco, insomma, ho finito.
(Chiusura brusca e leggermente destabilizzante, così, giusto per dir qualcosa)

Tutte le strade sono ponti


lunedì 6 maggio 2013

Rec.

Oh.
L'abbiamo fatto, alla fine, ieri.
Siamo andate con Lucio a casa di questo suo ex alunno, Pablo, e sua moglie, che hanno praticamente uno studio di registrazione in casa.
E niente.
Come potete vedere dalle foto qui sotto, tutto in piena regola: microfono professionale e tutto l'ambaradam.

È stato, nell'ordine: emozionante, figo, divertente, vergognoso, nuovo, istruttivo.
E niente, è venuta fuori anche carina, alla fine, la canzone.

Irene canta davvero bene.
Io ho fatto due seconde voci nel ritornello, da urlo.

Non so se vi rendete conto: da oggi c'è una canzone, incisa con strumenti professionali, che contiene la mia voce!
Roba da passare alla storia, eh.





domenica 5 maggio 2013

recording

oggi succederà una cosa piuttosto divertente.

o almeno, a me mi sembra divertente al limite del ridicolo.

comunque.

vi ricordate Lucio, il nostro amico musicista? quello che siamo andati a sentire al concerto l'altra sera?

ecco.
Lui fa il musicista.
e okkkei.

e ultimamente ha scritto delle canzoni.
e okkkei.

ora ha deciso di inciderle.
e okkkkei.

il fatto è che ha chiesto a me e irene di cantare una sua canzone per il suo cd.
????!!!!

che irene canta benissimo, vero.
ma io???!!!

vabbè, tra mezz'ora passa  a prenderci e bòn.
andiamo in sala di registrazione.
io farò una seconda voce.

rendetevi conto.

ah. e no, nessuno di voi avrà mai la possibilità di sentirne neanche una nota. scordatevelo.

questa cosa fa riderissimo, a voi no?


venerdì 3 maggio 2013

Martini blues


Ieri sera siamo andate all'Universidad Nacional, che è a due passi da casa, che, nell'auditorium, c'era un concerto. Gratis. Di jazz-blues.

È che suonava Lucio, un nostro amico che di professione fa il musicista e per l'occasione suonava il contrabbasso (lo vedete nella foto qui sotto, anche se sfuocata), accompagnando sta tizia che cantava, con altri musicisti bravissimissimi davvero fighi.
Lei una voce da urlo ma di un'antipatia cosmica e vabbè.
Repertorio tradizionale: at least di Etta James, I feel good, Summertime, cose così, insomma.

I musicisti bravissimi.
L'auditorium strastrastrapieno di gente, soprattutto universitari.

Non ho avuto modo, ma avrei voluto fotografare per voi almeno alcune pareti esterne dell'università.
Sembrava di essere in un centro sociale, ovunque murales e scritte e bandiere di protesta, messaggi che incitano alla rivoluzione e cose così.

L'universidad Nacional di Bogotà è una delle migliori del paese, dal punto di vista della formazione universitaria, ma è anche rinomata per essere il covo di terroristi e guerriglieri, luogo di reclutamento per cose del genere.

Quindi. Fauna varia e decisamente sui generis. A un certo punto, per esempio, in sala è entrato un ragazzo, che non avrà avuto più di 22-23 anni, con la faccia completamente dipinta da Jocker, quello del Cavaliere Oscuro, per intenderci.
Giusto per darvi un'idea.

Comunque.
Siamo tornate a casa cantando (e accenando anche una piccola coreografia) New York New York.

Ho anche fatto dei video, ma ho qualche problema con sto posto e non so perché non me li lascia caricare...

Di fatto, comunque, la musica dal vivo non ha prezzo.

giovedì 2 maggio 2013

Binari linguistici

In questi giorni mi rendevo conto di una cosa.

Parlare due lingue è una faccenda interessantissima (non riesco nemmeno a immaginare chi ne parla tre o quattro o più...che fortuna...).

Nel senso che mi sono proprio accorta che è una di quelle cose che, fisicamente, quasi, ti spalanca il cervello.

Quando parlo in spagnolo mi accorgo che è come se nella mia testa si aprisse un altro mondo.
La sensazione, a volte, è quella di avere una specie di ferrovia nel cervello, con due grandissimi binari.
A volte mi capita di pensare in spagnolo e poi di parlare in italiano o viceversa.
Continuamente sento i meccanismi del mio cervello fare click, come attivassero una leva di scambio gigantesca, per passare da una lingua all'altra.

E non è solo questo, è proprio che mi accorgo che cambio il modo di percepire alcune realtà.
Il fatto di chiamarle diversamente o la struttura sintattica che serve a dire una cosa e magari è diversa dalla struttura che uso normalmente in italiano, fa proprio in modo che a quella cosa tu pensi in maniera diversa.
Sostanzialmente diversa.

Non lo so se rendo l'idea.
Magari tra un altro po' di tempo riesco a spiegarvelo meglio.

Poi vabbè, l'inconveniente invece è che a volte quando parlo mi vengono fuori parole che non sono nè spagnole nè italiane, ibridi lessicali che fanno ridere e basta.

Tutto ha un prezzo.

Un due tre stella



mercoledì 1 maggio 2013

8 secondi

A Bogotà attraversare una strada equivale, la maggior parte delle volte, a un'avventura decisamente pericolosa.

L'idea è che devi cogliere il momento giusto, calcolare velocità e distanze in tempi rapidissimi e poi...rischiare.

Il fatto è che le macchine non si fermano. Mai. Nemmeno le moto. Nemmeno gli autobus. Nessuno, insomma.
La cosa è confermata da Luz Angela, una mia collega, che l'estate scorsa è venuta in Italia in vacanza e agli amici increduli raccontava: "ragazzi, l'italia è un altro mondo! ad esempio: se stai attraversando una strada e arriva una macchina...quella...si ferma e ti lascia passare!!!"

Quando attraverso una strada, qui, mi viene sempre in mente l'immagine di un libro illustrato che avevo da piccola che raccontava la storia del topo di campagna e del topo di città. In particolare il punto in cui il topo di campagna arriva in città e deve sostanzialmente trovare il modo di salvarsi la vita dagli sconosciuti e tremendi pericoli della strada.

Appunto.

Ieri sera, mentre tornavamo a casa, a uno degli incroci che attraversiamo sempre con un po' di apprensione e sperando di cavarcela anche quella volta, c'era appeso il seguente striscione (vedi foto).

traduco: "8 secondi di semaforo (sottinteso: verde, n.d.a.) non sono sufficienti per il pedone"

(li ho cronometrati e, a dir la verità, sono esattamente sette secondi e pochi decimi)


non so chi  l'abbia messo, ma ha tutta la mia approvazione e simpatia. se si fa una raccolta firme voglio essere la prima firmataria.