mercoledì 10 luglio 2013

questo abbraccio vada al mondo intero (semicit.) / Addio, ciaociao, auf wiedersehen, goodby (cit.)


allora, amici, cari 25 lettori eccetera.
questo è l'ultimo post.

domani prendo un aereo e venerdì sera sarò nuovamente in Italia.

qualche settimana fa  ho comprato il biglietto.
sola andata, diceva.

che poi in realtà è un ritorno.
ma per la compagnia aerea che mi ha fatto il biglietto è di sola andata.
questa cosa, ho pensato, è buffa. e anche molto indicativa di come certe andate siano in realtà dei ritorni e di come ritornare, a volte, possa invece significare andare.
insomma, di quanto sia relativa, questa cosa delle andate e dei ritorni. di come sia soggettiva, di come dipenda, in fondo, da noi, da tanti fattori.

di come, per la compagni aerea, il mio viaggio sia solo un'andata.
e forse, ho pensato, ha ragione lei.

perchè domani, undici luglio, io prenderò un aereo, da bogotà.
e il giorno dopo, la serea, dodicidiluglioduemilaetredici sarò di nuovo in Italia.
e sarò lì per restare, non per tornare qua.
(anche se mai dire mai, insomma).

e, penso, ha ragione la compagnia aerea, in fondo.
perché dopo un anno così, credo, non è possibile, in qualche modo, tornare.
si va.

si va a vedere come si è cambiati, si va a vedere un nuovo nuovo mondo che magari per altri sarà rimasto uguale o poco differente, può anche essere.
ma io (tu), che parto, dopo un anno di chilometri e ore e di tante distanze diverse e di cieli e incontri e persone che mi hanno attraversato i pensieri e gli occhi e il sangue e la pelle, io, dopo un anno così, mica torno.

io parto.
e, in fondo, non lo so mica bene quello che troverò, alla fine.

chè gli occhi, ormai, mi sono cambiati, hanno dentro delle cose nuove, che prima non conoscevo e che mi hanno cambiato lo sguardo e allargato il cuore e ora, credo, ci stanno più cose.

quindi, ecco, volevo dirvi, a voi 25 lettori, che mi avete fatto compagnia da lontano anche solo coi vostri occhi attenti e fedeli alle parole, anche quelle a volte piccole, che ho potuto regalarvi un po' da qui, per come ho potuto, insomma: grazie.

dato che questo luogo era nato, semplicemente, per raccontare di questo viaggio lungo un anno, non ha più molto senso che io continui a scriverci, da domani.
Avevo un sacco di altre cose da raccontarvi, ma vorrà dire che lo farò a voce.
E questo posto, dunque, continuerà a fluttuare nell'immensità del web e sarà un po' come quando si mettevano le lettere ricevute in una scatola delle scarpe in cima a qualche armadio, per poi riaprirla svariati anni dopo e lasciarsi nuovamente travolgere dalla commozione per le cose vere.

vi regalo, qui sotto, un'ultima immagine.

siamo io e Irene, a Monserrate.
l'amicizia con lei è stata una delle tante cose grandi che mi sono accadute qui.
l'abbraccio della foto è della stessa natura di quello, spero, di poter dare a ciascuno di voi, al più presto, al mio rientro.

il desiderio più grande che ho, in questo momento, è che questo abbraccio vada al mondo intero (semicit.).









piesse: giusto per la cronaca.
arrivo venerdì sera, ma domenica la mia famiglia mi rapisce e mi porta una settimana al mare, in Francia...quindi, a parte la giornata di sabato, non sarò tecnologicamente raggiungibile fino tipo al 21 o 22 di luglio...così, metti che qualcuno avesse voluto invitarmi a cena, dovrà aspettare fino al 22.

fine delle trasmissioni, cià:

martedì 9 luglio 2013

click mancati e psicodrammi

stamattina siamo andate a fare un giro in centro, che ci ha accompagnato Jhon un collega colombiano che conosce bene il centro.

in centro non ci vai da sola.
e soprattutto è il caso di andarci con un colombiano.

in centro si va vestite il peggio possibile, senza gioelli e possibilmente senza cellulare.

se devi comprare qualcosa è meglio se ci vai con un colombiano, perché lui può contrattare e abbassare il prezzo.
agli stranieri li fregano solo con lo sguardo, anche se uno sta attento e tutto.

tutto questo è un peccato, perché il centro, di tutta Bogotà, è il luogo dove avrei fatto più volentieri un milione e mezzo di foto.

mi sono limitata a quelle qui sotto, fatte di nascosto e velocemente.

peccato davvero, ad ogni angolo c'era un possibile click....





poi, non aspettatevi regali e regalini stavolta, chè, come potete vedere dall'immagine qui sotto, siamo nel bel mezzo dello psicodramma da valigie...

lunedì 8 luglio 2013

patacones

oggi la mamma di Juli ci ha insegnato a fare i patacones.
ci hanno pure regalato questo specie di tagliere doppio che potete vedere nella foto qui sotto, che serve per spiaccicare il platano fritto, che poi lo si frigge un altra volta.

non so se si trovano i platanos verdi in Italia, nel caso vi prometto che vi invito tutti a cena e ve li preparo.
con tanto di guacamole (una delle salse che si fa con l'avocado per accompagnare i patacones)


domenica 7 luglio 2013




di pianto e riso


della festa di ieri sera non riesco a raccontarvi, se non per cenni.
chè è stata una cosa grande, bella, così grande e così bella che io proprio non me lo sarei mai aspettata, ma mai e poi mai, intendo.

c'erano amici, parenti, famiglie, colleghi, c'erano tutti o quasi tutti.

è pure arrivato Daniel, uno dei miei alunni super preferiti di quest'anno, che non speravo venisse e invece c'era e quando l'ho visto entrare mi è venuto da piangere un sacco ma non l'ho fatto.

poi avevano preparato per noi dei video, bellissimi e quello alla fine era anche commovente, ma proprio che lì invece non ce l'ho mica fatta e ho pianto come una fontana.

poi in mezzo abbiamo cantato un sacco e ci hanno fatto fare dei giochi sul palco e noi abbiamo riso fortissimo e siamo state brave e ridicole eccetera.

e ci hanno fatto un sacco di regali. fiori, tequila, bigliettini fatti a mano, libri, dolci, di tutto e di più.

io vorrei raccontare tutto e con ordine ma non posso, perché è stata una cosa così grande e bella che a provare a raccontarla non ci riesco e poi se no mi viene da piangere di nuovo.

allora poi invece stamattina sono andata in centro con Richard, Juli e sua mamma e mi hanno portato a vedere il Museo dell'Oro e il Museo Botero, che, voglio dire, sono praticamente gli unici due musei di Bogotà e mica potevo andarmene senza visitarli, vi pare?

Domattina la mamma di Juli ci insegna a fare i patacones, che sono una delle cose buone buone buone che si mangiano qui e che in Italia mi sa che è difficile, perché ci vuole il platano, che mi sa che in italia si trova difficile o proprio non si trova.

son giorni di pianti e risa fortissimi che mi riempiono la gola, la testa e tutta l'aria che ho attorno.
a volte mi sembra di guardare le cose come se volessi mangiarmele tutte.

sabato 6 luglio 2013

Le despedide.

Ragazzi, qui stasera grande festa per la nostra despedida.
Non so cos'hanno organizzato, esattamente.

So solo, di certo, che ci sarà un milionerrimo di gente e che le lacrime, che ho trattenuto eroicamente stamattina, alla consegna delle pagelle, le verserò tutte stasera, credo.
Meglio.

Così quando giovedì andrò in aereoporto non me ne saranno rimaste da piangere.
Perché, scrivevo qualche giorno fa, lasciare  le cose è difficilissimo.

E non intendo allontanarsi dalle cose.
Intendo: lasciarle.
Lasciarle per sempre.
O fino a quando non sai, che è come per sempre.
Allontanarsi è difficile.
Lasciarle è difficilissimo.

Le cose sono: L, S., M., J.... gli abbracci di I, Juliana e le caramelle, la chitarra di B., perfino la sveglia delle cinque e mezza, il cielo, i fili dell'elettricitá, lo spigolo del tavolo in sala, cose così.

Guardare le cose con dentro la parola addio è una cosa che fa del male vero.

Io mi ricordo una volta, che ero alla scuola materna e avevo un amico e poi se n’è andato a vivere in Francia con la sua famiglia.
Avevo 4 o 5 anni e ho continuato a chiedere a mia madre perché Paolo non veniva più a scuola.
Tutte le mattine speravo di vederlo entrare dal cancello, anche se tutti mi ripetevano che era in Francia.
e la Francia è lontana.

Dire addio alle cose e alle persone è una cosa che dopo, per mesi, guardi il cancello.
anche se sai che la Francia è lontanissima.
e che Paolo non arriverà.

Seguiranno racconti e aggiornamenti, se i singhiozzi non me lo impediranno.
Stay tuned!

E tu scrivimi, scrivimi, se ti viene la voglia (cit.)


venerdì 5 luglio 2013

L'arte di ripiegare le piantine

Ormai è ufficiale a tutti i livelli, molti dei miei 25 lettori (cit.) lo sanno, agli altri lo comunico ora, quindi lo posso scrivere: tra pochi giorni torno in Italia.
E l'anno prossimo resterò in Italia, invece che tornare qui un altro anno come da progetto originale.

I motivi di questa scelta alcuni di voi li sanno già, perché glieli ho detti io.
Altri no, eventualmente me li chiederanno quando sarò a casa e io, nel caso, mi avvarrò della facoltà di non rispondere.

Era per dire che ho cominciato a fare le valigie, impacchettare le cose, buttare il superfluo, tentare eroicamente di farci stare tutto in due valigie di massimo 23 kg eccetera.

Arrivata qui alla fine di agosto dell'anno scorso ho comprato una piantina stradale della città.
Gigantesca.
Una di quelle piantine che quando le compri sono tutte piegate perfettamente in tipo 37 parti e che quando le apri diventano grandi enormi.
Quella che ho comprato io me la sono appiccicata sulla parete della camera, di fianco al letto, e ogni tanto la studiavo.

Non sono mai stata buona con le misure, ma credo fosse più o meno un metro e mezzo di larghezza per almeno quasi un metro di altezza.

Ieri l'ho staccata dalla parete e volevo ripiegarla per infilarla in valigia e portarmela a casa.

Dramma cosmico, ovviamente.

Non faccio parte, ahimè, di quella esigua schiera di esseri umani in grado di ripiegare una piantina in maniera rapida, efficace, senza sforzo.
Mio padre, ad esempio, lo sa fare.

È uno di quei gesti che mi provocano sempre, quando mi capita di assistervi, un misto di ammirazione, invidia, stupore.

E siccome in questi giorni è così doloroso partire e lasciare tante cose, senza sapere se e quando tornerò a rivederle, allora pensavo che, in fondo, quello che sto vivendo in questi giorni è un po' come tentare di ripiegare una piantina gigante di città.

Si chiama desiderio di ricordare tutto, di non perdere niente, che tutto sia salvato, per sempre.

E mi accorgo di quanto è grande il bisogno che ho di qualcuno che sappia ripiegare la piantina stradale di quest'anno vissuto qui, senza gli strappi e gli errori che farei io, così maldestra.

Bird in red


giovedì 4 luglio 2013

Se fossi una regista, per esempio.

Ieri sera, che era già buio e stavamo andando a cena da Sandra e Luza e passavamo a prendere un dolce, a un certo punto mi sono trovata davanti a questa scena incredibile:

Un ragazzino, che avrà avuto 8 o 10 anni al massimo, in braghe corte e maglietta e un pallone da calcio. C'era il marciapiede di questa strada trafficatissima e tantissime persone che camminavano avanti e indietro e lui si metteva in un punto della strada, col pallone fermo sotto il piede destro, guardava dritto e poi via.
Cominciava a correre con il pallone tra i piedi dribblando tutte le persone che incontrava.
Arrivava alla fine della strada, si voltava, stava fermo tipo un minuto e poi ricominciava, affrontando nuovamente il dribbling estremo tra i passanti.

Una cosa di quelle che avrei voluto fotografare o filmare che, se, metti, facessi la regista, troverei sicuro il modo di metterla, una scena così, nel mio film.

Poi stamattina, che siamo uscite da scuola per andare in banca a sbrigare faccende, a un certo punto c'era questo giovanotto, sotto una casa, che fischiava e guardava in alto. E dopo, da una finestra, si è affacciata una ragazza coi capelli lunghissimi neri e un sorriso grande così. E anche lui ha sorriso, quando lei è apparsa.

Io vorrei fare la regista solo per poter mettere scene come queste nei miei film.

Allora poi ho pensato che questo mondo è proprio bello.
Ci sono cose, in questo mondo, che puoi vedere, che valgono proprio la pena di aprire gli occhi alla mattina.
Punto.

Sotto questo sole (cit.)


mercoledì 3 luglio 2013

I ❤ shopping?

C'è questo fatto, che ci penso da un po' ed è strano e non so bene come spiegarlo.

Cioè.
Io da quando sono qui praticamente non ho comprato quasi nulla.
Un paio di jeans, perché quelli che mi ero portata dall'Italia li ho distrutti.
Un paio di scarpe da tennis, per lo stesso motivo.
Un maglione e un vestito leggero, perché non ci stavano in valigia quando sono partita.
Un paio di orecchini.

Fine.
In un anno.

Voglio dire: non che io appartenga in maniera drastica al tipo di donna che fa shopping sfrenato e disperatissimo almeno una volta alla settimana.
Voglio dire: non ho mai avuto l'agiatezza economica per permettermelo e comunque, in Italia, mi capitava più spesso di spendere vagonate di soldi in maniera compulsiva più per i libri, che per vestiti o simili.

Però, insomma, la mia dose di shopping annuale e corse ai saldi me la sono sempre beccata anche io, con gusto e piacere, insomma.

Allora mi sono messa lì e ho provato a capirci qualcosa e i dati che ho raccolto sono i seguenti:

1. In Colombia la moda non esiste. Cioè: se cammini per strada e ti guardi in giro la gente è vestita veramente a caso e nei modi più assurdi e diversificati. Sia da un punto di vista climatico (trovi gente in infradito e canottiera accanto a persone col cappotto, per dire...e nello stesso giorno), sia da un punto di vista di "stile": si va dal gamin in stracci, alla donna in tacchi e tailleur, al ragazzino in uniforme scolastico, alla signora di mezza età in tuta...però, insomma, non è come a Milano, che ti basta salire in metropolitana, dare un colpo d'occhio per affermare, chessó, tipo: ah, quest'anno va il verde smeraldo.

2. Non esistono negozi. Cioè, tipo: se cammini per strada, in qualunque zona della città, è molto raro trovare negozi di abbigliamento. Ce ne sono pochissimi. O meglio, ci sono. Ma sono stipati tutti nei centri commerciali (numerosi). Però nelle vie e strade "normali", quelle per cui si cammina abitualmente, non ce ne sono proprio. Per cui, boh, non so, non ti viene in mente proprio.

3. Ai colombiani non gliene frega proprio niente di come sei vestito. O meglio. In generale hanno un gusto...diciamo...leggermente pacchiano, ecco. Cose leopardate, righe miste a colori improbabili, etc. Di per loro in realtà sono attentissimi all'aspetto fisico, su certe cose, per cui ad esempio, la manicure è un Must, anche per gli uomini, ad esempio. Ci sono parrucchieri ad ogni angolo di strada, le donne hanno una vera e propria ossessione per i tacchi 12....ma sull'abbigliamento in quanto tale...bhè, non gli interessa. O per lo meno, non ne parlano e non te lo fanno notare.

Poi, non so.

È che proprio non ne ho sentito il bisogno, chenneso.
Tutta una serie di cose per cui in Italia impazzivo, qui, hanno perso d'interesse.
Come se davvero, alla fine, ti ritrovi faccia a faccia con le tue esigenze vere.

Un caffè con un amico, o una mail che ti arriva dall'Italia, dopo averla aspettata a lungo, una telefonata via Skype, un invito a cena, una coinquilina che ti prepara il caffè la mattina...

Cose così, insomma, che da Zara non vendono.

martedì 2 luglio 2013

Cose importanti

Gli hamburger sono una delle cose importanti della vita, a mio parere.
Ci sono intere, disastrose giornate che vengono risollevate semplicemente da un buon hamburger.

Io non avevo mai mangiato un vero hamburger, prima di venire in Colombia.

Chè, io credo, gli hamburger più buoni del mondo sono quelli del Corral:

Se vi capiterà di passare da queste parti, per favore, tenetene conto.

Come al solito, anche in questo il caso, Il Maestro si è pronunciato sull'argomento, QUI.

lunedì 1 luglio 2013

Mariquita (per immagini)





Mariquita

allora siamo tornati, eh.
sani e salvi nonostante i serpenti e i ragni neri con le zampe gialle e grandi come una mano che decoravano la foresta in cui siamo andati a fare una passeggiata ieri mattina.

ovviamente io giravo cosparsa d'autan (quello apposta per le bestiacce tropicali) e avevo delle guardie del corpo (ho la fobia dei ragni. i serpenti, passino...ma i ragni non ce la faccio proprio, soprattutto se superano la misura legale).

comunque, come potete vedere dalle foto, caldo tropicale (che praticamente è sinonimo di mortale, perchè il tasso d'umidità è tipo del 110%), ma posto splendido: tanta tanta natura (anche troppa, per i miei gusti), cascate comprese.

poi nel posto in cui eravamo c'era, grazie a Dio la piscina.

ah, ovviamente in quei posti lì l'acqua calda non esiste.
cioè: tipo che entri nella doccia e c'è proprio una sola manopola, che serve a far uscire l'acqua punto.
fredda.

è che fa così caldo che l'acqua calda diventa (a parere della popolazione locale, quanto meno) fastidiosa e superflua.

no, bhe, ci siamo divertiti.

io sono stanca morta e mi aspetta un'altra settimana a scuola, con la solita simpatica sveglia alle cinque e mezzo del mattino.
ma a parte questo tutto bene.