giovedì 31 gennaio 2013

Stamattina sono entrata in terza liceo e Luis Camilo è scoppiato a piangere.

Luis Camilo è un ragazzo intelligente, simpatico, bravo a scuola, con una famiglia bella e un sacco di amici.
Piangeva come un disperato e ho sospettato che la mia lezione su Torquato Tasso non potesse essere disastrosa al punto da produrre tale diluvio universale.

Quando, in una pausa della lezione, ha accettato di uscire dalla classe e di provare a dirmi cosa c'era che non andava, mi ha detto:

Non c'è niente che non va, prof. Assolutamente niente. Non è successo niente di strano e va tutto bene.
Il problema è che io stamattina mi sono svegliato e a un certo punto mi sono accorto che avevo un vuoto, ma un vuoto, ma un vuoto così grande, dentro, che io questo vuoto, non riesco a sopportarlo.

Io avrei voluto abbracciarlo fortissimo, ma non l'ho fatto.
Però gli ho sorriso e gli ho detto di tenersi strettissimo quel vuoto che sente, che è la cosa più preziosa che c'è nella vita, io credo. E che non è vano, mai.
Che si può essere felici nella vita.
A patto che quel vuoto si spalanchi in domanda.

Io, poi, ho pensato che al mio vuoto sono grata.
E che non potrei voler bene così tanto a Luis Camilo, se non sentissi anche io, sempre, una mancanza che mi spalanca.

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