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mercoledì 10 luglio 2013

questo abbraccio vada al mondo intero (semicit.) / Addio, ciaociao, auf wiedersehen, goodby (cit.)


allora, amici, cari 25 lettori eccetera.
questo è l'ultimo post.

domani prendo un aereo e venerdì sera sarò nuovamente in Italia.

qualche settimana fa  ho comprato il biglietto.
sola andata, diceva.

che poi in realtà è un ritorno.
ma per la compagnia aerea che mi ha fatto il biglietto è di sola andata.
questa cosa, ho pensato, è buffa. e anche molto indicativa di come certe andate siano in realtà dei ritorni e di come ritornare, a volte, possa invece significare andare.
insomma, di quanto sia relativa, questa cosa delle andate e dei ritorni. di come sia soggettiva, di come dipenda, in fondo, da noi, da tanti fattori.

di come, per la compagni aerea, il mio viaggio sia solo un'andata.
e forse, ho pensato, ha ragione lei.

perchè domani, undici luglio, io prenderò un aereo, da bogotà.
e il giorno dopo, la serea, dodicidiluglioduemilaetredici sarò di nuovo in Italia.
e sarò lì per restare, non per tornare qua.
(anche se mai dire mai, insomma).

e, penso, ha ragione la compagnia aerea, in fondo.
perché dopo un anno così, credo, non è possibile, in qualche modo, tornare.
si va.

si va a vedere come si è cambiati, si va a vedere un nuovo nuovo mondo che magari per altri sarà rimasto uguale o poco differente, può anche essere.
ma io (tu), che parto, dopo un anno di chilometri e ore e di tante distanze diverse e di cieli e incontri e persone che mi hanno attraversato i pensieri e gli occhi e il sangue e la pelle, io, dopo un anno così, mica torno.

io parto.
e, in fondo, non lo so mica bene quello che troverò, alla fine.

chè gli occhi, ormai, mi sono cambiati, hanno dentro delle cose nuove, che prima non conoscevo e che mi hanno cambiato lo sguardo e allargato il cuore e ora, credo, ci stanno più cose.

quindi, ecco, volevo dirvi, a voi 25 lettori, che mi avete fatto compagnia da lontano anche solo coi vostri occhi attenti e fedeli alle parole, anche quelle a volte piccole, che ho potuto regalarvi un po' da qui, per come ho potuto, insomma: grazie.

dato che questo luogo era nato, semplicemente, per raccontare di questo viaggio lungo un anno, non ha più molto senso che io continui a scriverci, da domani.
Avevo un sacco di altre cose da raccontarvi, ma vorrà dire che lo farò a voce.
E questo posto, dunque, continuerà a fluttuare nell'immensità del web e sarà un po' come quando si mettevano le lettere ricevute in una scatola delle scarpe in cima a qualche armadio, per poi riaprirla svariati anni dopo e lasciarsi nuovamente travolgere dalla commozione per le cose vere.

vi regalo, qui sotto, un'ultima immagine.

siamo io e Irene, a Monserrate.
l'amicizia con lei è stata una delle tante cose grandi che mi sono accadute qui.
l'abbraccio della foto è della stessa natura di quello, spero, di poter dare a ciascuno di voi, al più presto, al mio rientro.

il desiderio più grande che ho, in questo momento, è che questo abbraccio vada al mondo intero (semicit.).









piesse: giusto per la cronaca.
arrivo venerdì sera, ma domenica la mia famiglia mi rapisce e mi porta una settimana al mare, in Francia...quindi, a parte la giornata di sabato, non sarò tecnologicamente raggiungibile fino tipo al 21 o 22 di luglio...così, metti che qualcuno avesse voluto invitarmi a cena, dovrà aspettare fino al 22.

fine delle trasmissioni, cià:

domenica 7 luglio 2013

di pianto e riso


della festa di ieri sera non riesco a raccontarvi, se non per cenni.
chè è stata una cosa grande, bella, così grande e così bella che io proprio non me lo sarei mai aspettata, ma mai e poi mai, intendo.

c'erano amici, parenti, famiglie, colleghi, c'erano tutti o quasi tutti.

è pure arrivato Daniel, uno dei miei alunni super preferiti di quest'anno, che non speravo venisse e invece c'era e quando l'ho visto entrare mi è venuto da piangere un sacco ma non l'ho fatto.

poi avevano preparato per noi dei video, bellissimi e quello alla fine era anche commovente, ma proprio che lì invece non ce l'ho mica fatta e ho pianto come una fontana.

poi in mezzo abbiamo cantato un sacco e ci hanno fatto fare dei giochi sul palco e noi abbiamo riso fortissimo e siamo state brave e ridicole eccetera.

e ci hanno fatto un sacco di regali. fiori, tequila, bigliettini fatti a mano, libri, dolci, di tutto e di più.

io vorrei raccontare tutto e con ordine ma non posso, perché è stata una cosa così grande e bella che a provare a raccontarla non ci riesco e poi se no mi viene da piangere di nuovo.

allora poi invece stamattina sono andata in centro con Richard, Juli e sua mamma e mi hanno portato a vedere il Museo dell'Oro e il Museo Botero, che, voglio dire, sono praticamente gli unici due musei di Bogotà e mica potevo andarmene senza visitarli, vi pare?

Domattina la mamma di Juli ci insegna a fare i patacones, che sono una delle cose buone buone buone che si mangiano qui e che in Italia mi sa che è difficile, perché ci vuole il platano, che mi sa che in italia si trova difficile o proprio non si trova.

son giorni di pianti e risa fortissimi che mi riempiono la gola, la testa e tutta l'aria che ho attorno.
a volte mi sembra di guardare le cose come se volessi mangiarmele tutte.

venerdì 5 luglio 2013

L'arte di ripiegare le piantine

Ormai è ufficiale a tutti i livelli, molti dei miei 25 lettori (cit.) lo sanno, agli altri lo comunico ora, quindi lo posso scrivere: tra pochi giorni torno in Italia.
E l'anno prossimo resterò in Italia, invece che tornare qui un altro anno come da progetto originale.

I motivi di questa scelta alcuni di voi li sanno già, perché glieli ho detti io.
Altri no, eventualmente me li chiederanno quando sarò a casa e io, nel caso, mi avvarrò della facoltà di non rispondere.

Era per dire che ho cominciato a fare le valigie, impacchettare le cose, buttare il superfluo, tentare eroicamente di farci stare tutto in due valigie di massimo 23 kg eccetera.

Arrivata qui alla fine di agosto dell'anno scorso ho comprato una piantina stradale della città.
Gigantesca.
Una di quelle piantine che quando le compri sono tutte piegate perfettamente in tipo 37 parti e che quando le apri diventano grandi enormi.
Quella che ho comprato io me la sono appiccicata sulla parete della camera, di fianco al letto, e ogni tanto la studiavo.

Non sono mai stata buona con le misure, ma credo fosse più o meno un metro e mezzo di larghezza per almeno quasi un metro di altezza.

Ieri l'ho staccata dalla parete e volevo ripiegarla per infilarla in valigia e portarmela a casa.

Dramma cosmico, ovviamente.

Non faccio parte, ahimè, di quella esigua schiera di esseri umani in grado di ripiegare una piantina in maniera rapida, efficace, senza sforzo.
Mio padre, ad esempio, lo sa fare.

È uno di quei gesti che mi provocano sempre, quando mi capita di assistervi, un misto di ammirazione, invidia, stupore.

E siccome in questi giorni è così doloroso partire e lasciare tante cose, senza sapere se e quando tornerò a rivederle, allora pensavo che, in fondo, quello che sto vivendo in questi giorni è un po' come tentare di ripiegare una piantina gigante di città.

Si chiama desiderio di ricordare tutto, di non perdere niente, che tutto sia salvato, per sempre.

E mi accorgo di quanto è grande il bisogno che ho di qualcuno che sappia ripiegare la piantina stradale di quest'anno vissuto qui, senza gli strappi e gli errori che farei io, così maldestra.

martedì 18 giugno 2013

periodo ipotetico dell'impossibilità

vorrei tanto dirvi che ora abbiamo l'acqua calda.

vorrei proprio tanto.
ma tanto tanto, eh.

vorrei scrivere un post su quanto può essere bello accorgersi delle piccole cose che quotidianamente diamo per scontate, quando vengono a mancare. e di quanto si riapprezzano infinitamente, quando poi, finalmente, ce ne riappropriamo...

avrei proprio voluto.
dopo 4 settimane mi sembrava anche che fosse arrivato il momento, insomma.

invece no.
niente.

che poi.
si vive anche senza acqua calda, voglio dire.
non è quello il problema.

il problema è la speranza continuamente disillusa.
quello, sì, taglia le gambe.

la tizia che ti dice: non si preoccupi, oggi vengono a ripararla.
(da quattro settimane, tutti i giorni)
e tu tutti i giorni ci credi, ci speri, ti illumini nella consapevolezza che, finalmente, stasera laverai i piatti con una temperatura accettabile.
o potrai fare una lavatrice senza andare a chiedere ai vicini, cose così, minuscole, ma tanto confortanti.
invece arrivi a casa e
NIENTE
è
SUCCESSO.

è questo, che è snervante.
le promesse mancate uccidono.

lunedì 17 giugno 2013

notte prima degli esami (cit.)

Se di lavoro fai la professoressa e alla fine dell'anno ti tocca fare la commissaria agli esami, questa è proprio una cosa bellissima.

cioè. è difficile, stancante, stressante e tutto il resto, certo, chi dice di no.

però è proprio bello.
innanzitutto perché ti ribalta tutto.

cioè, voglio dire: quei ragazzi lì, quelli contro i quali fino al giorno prima hai inveito, sbraitato, scagliato gomme. quelli che hai massacrato di insulti, arrabbiature, voti infami, note.
quelli che ti hanno dato del filo da torcere, che ti hanno deluso, stancato, stressato...
quellilì, insomma, che fino al giorno prima erano solo i tuoi alunni...
dal giorno che cominciano l'esame diventano tuoi e basta.

sono tuoi in un modo in cui lo erano anche prima, ma l'esame lo fa diventare evidente in un modo imbarazzante.

sono tuoi anche quelli che ti stanno antipatici, quelli che non hanno mai studiato, quelli che "potrebbero dare di più ma non si applicano", quelli che non stavano mai zitti, quelli che cercavano di fregarti, che non facevano i compiti, che copiavano nelle verifiche.

sono tuoi e basta, punto.

e tu ti ritrovi a fare il tifo per loro, per ciascuno.
ti ritrovi a girare tra i banchi alla ricerca di errori da correggere di nascosto dal presidente di commissione, di suggerimenti da dare, di sorrisi incoraggianti da sfoderare...

e quando si corregge ti ritrovi a valorizzare ogni virgola, ogni parola che anche solo minimamente abbia dentro un respiro buono, e tiri fuori dalla memoria gesti, episodi, fatti, anche minuscoli, a testimonianza del bene che sono, che c'è in loro, anche nel "peggiore" di loro, anche di quello che ti ha fatto penare fino al secondo prima. anzi, se è possibile, quellilì, i peggiori, sono ancora più tuoi degli altri.

insomma, è una cosa bella, questa, perchè è come se, finalmente, dopo tutto il tempo in cui li hai accompagnati, diventasse evidente lo scopo: non li hai accompagnati perché fossero perfetti, nemmeno perché fossero migliori e, tutto sommato, nemmeno (solo) perchè imparassero delle cose.

li hai accompagnati perchè ci sono, e sono stati affidati a te.
e questa è l'unica ragione sufficiente per volergli bene e sostenerli fino all'ultimo, al di là dei meriti.

e basta.


venerdì 7 giugno 2013

colombia, tierra querida

una settimana fa si è rotta la caldaia di casa nostra.

questo significa che è una settimana che non abbiamo acqua calda in casa.

una settimana.

voi magari credete che non abbiamo preso seriamente in considerazione la cosa e non abbiamo chiamato i tizi che dovrebbero risolvere il problema eccetera.
ma non è così.
avete una pessima idea di noi, se pensate questo.

abbiamo chiamato la mattina dopo.
e poi quella dopo.
e poi quella dopo.

e, finalmente, ieri, è venuto il tizio a ripararla.
ma poi se n'è andato.
e ci ha detto che non può.
che dovrà tornare.

domani è sabato. e lunedì è festivo.
quindi significa che se non torna oggi (cosa improbabile, dati i precedenti), toccherà aspettare almeno fino a martedì, ammesso che martedì si ricordi di noi.

lavare i piatti con l'acqua fredda, con le temperature che ci sono qui a Bogotà è un'esperienza interessante.
ma mai quanto farsi la doccia.

mercoledì 5 giugno 2013

Per la cronaca

Si avvicina l'esame di terza media (che, per la cronaca, inizia il 15 giugno, che, per la cronaca, è un sabato e dunque teoricamente sarebbe festivo e che per di più, per la cronaca, è pure il giorno del mio compleanno).

In questi giorni sono dunque sommersa di tesine da correggere e stiamo facendo il ripasso.
Non c'è giorno che passa in cui, nel fare questo, non mi vengano in mente i miei studenti italiani, di quinta, che si stanno apprestando ad affrontare la maturità e che, se non fossi venuta qui, avrei potuto accompagnare da vicino e invece no, mi tocca guardarli da lontano.

E mi sorprende scoprire il bene vero che posso volere a qualcuno così da lontano, senza fare assolutamente nulla di concreto, apparentemente, per lui.

Mi sorprende vedere come il bene che voglio a chi è lontano intensifichi e renda più vero il bene per quelli che invece ho a fianco tutti i giorni.
E viceversa.

È proprio una cosa dell'altro mondo, questa.

mercoledì 22 maggio 2013

Questioni di karma

Io a tutte quelle cose del karma e via dicendo non ci credevo.
Non ci ho mai creduto.

Magari davo giusto una sbirciata all'oroscopo, ogni tanto, così, con fare divertito e sprezzante, un po' altezzoso, anche.

Ma, in fondo, non ho mai dato credito nemmeno a una sillaba di questo genere di cose, insomma.

Oggi è stata una giornata pesante, che sabato c'è l'open day della mia scuola e insomma, potete immaginare, il delirio pre-Open day aggravato dal fatto (ve lo ricordo) che siamo in Colombia, la terra del non-sense e del "sì sì, questo lo faccio subito" che in realtà significa "non lo farò mai, manco se mi paghi in dollari".

Quindi insomma, ordinaria amministrazione: arrivo a scuola con la faccia ingrugnita, tratto male tutti o quasi tutti, sgrido quintali di studenti, mi innervosisco, mi arrabbio, perdo le staffe e via, con tutto il teatrino completo.

Poi, finalmente, arrivano le tre e mezza, ed esco da scuola.
Salgo su un taxi.
Mezz'ora di traffico spaventoso.
Arrivo a casa.
Scendo dal taxi.
Mi avvio verso casa, rimuginando sul mezzo chilo di cose che ho ancora da fare prima che finalmente scenda la notte.

A un tratto, come un lampo d'agosto, mi è chiaro: il karma esiste.
Si staglia di fronte a me in dimensioni cosmiche e con sguardo truce e ferocemente divertito.
È l'esatto momento in cui mi rendo conto di aver lasciato il computer (un Mac quasi nuovo) sul taxi, che, ovviamente, aveva già preso il volo.

Inutile dire che quando ho chiamato la compagnia dei taxi per provare a riparare l'irreparabile, il tizio dall'altra parte della cornetta si è praticamente piegato in due dalle risate, quando gli ho chiesto se avevo una qualche possibilità di recuperare il pc perduto. Che razza di domande, siamo in Colombia.

Non ho nessun argomento a mia discolpa.
Solo una dose massiccia di storditaggine acutissima e, forse, un po' di stanchezza accumulata che aggrava lo stato già sufficientemente precario della mia psiche provata.

Detto questo.
Cerco di consolarmi immaginando che il taxista in questione faccia parte (e non è così improbabile) di quella percentuale della popolazione di Bogotà che a stento riesce a guadagnarsi il cibo quotidiano e che abbia per lo meno un figlio di sette anni con una malattia gravissima che, grazie alla rivendita del mio Mac, potrà essere salvato e diventare un giorno un grande medico o avvocato o il presidente della Colombia che risolleverà le sorti di questo paese tanto provato dalla violenza e dalla guerra.

Chè, se il karma esiste, allora a questo punto tanto vale che sia per lo meno buono.

sabato 18 maggio 2013

bollettino medico 2

primo giorno senza febbre.
bene.
sono guarita.

essere malati lontano da casa è come essere malati a casa.
però, in fondo in fondo, ci si sente un po' più soli, anche se non è vero.

e delle medicine coi nomi diversi da quelli a cui sei abituata ti fidi di meno, che cosa strana, questa.

per cui sono contenta che almeno la tachipirina me l'ero portata dall'Italia e ce l'ho a portata di mano, che di lei mi posso fidare.


venerdì 10 maggio 2013

Volevo dire che domattina noi siamo invitate a un matrimonio.

e occhei, bello.
poi è sabato, va bene, tutto normale.

il problema è che la tizia in questione si sposa alle 8.30.
del mattino.

già.
un matrimonio-colazione, praticamente.

non chiedetemi perchè, ricordate: siamo in Colombia, la terra del non-sense.

l'idea che domattina devo svegliarmi alle sette per andare a un matrimonio mi sta uccidendo.

compatitemi, per favore.

giovedì 9 maggio 2013

Desde mi idioma se ve el mar

Mi ero dimenticata di dirvi una cosa bellissima, che ho visto quando sono andata alla fiera del libro.

Su una parete, grandissima, che non sono riuscita a fotografare, c'era questo murales con questa scritta:
"Desde mi idioma se ve el mar"

Che, tradotto (ma come insegna quel film meraviglioso che è Lost in traslation, è un peccato, tradurre, perché sempre, un po', traducendo, si tradisce - questa non è mia, è di Morgan...) sarebbe:

"Dalla mia lingua si vede il mare"

Non trovate sia una frase bellissima?

Mi ero dimenticata di dirvelo

martedì 7 maggio 2013

A.A.A. Anonimo svelasi

Unduetre...prova...a...a....

Mi sentite bene?
Perfetto.

Allora, carissimi 25 lettori, ho un piccolissimo avviso per voi.

Non sono un'esperta della rete, nè tanto meno una blogger professionista.
(Doverosa premessa)

Sono sempre molto emozionata e contenta quando qualcuno lascia un commento a qualcuno dei miei deliranti e talvolta assolutamente trascurabili post.
(Corpo del messaggio)

Ma nel 90% dei casi non so chi siete, nel senso che non vi firmate in alcun modo.
(Cuore del problema e motivo di questo post).

Poi è anche vero che spesso non vi rispondo, anche perché magari ho poco tempo.
(Excusatio non petita...)

Peró, in generale, se trovate il modo di farmi sapere chi siete, quando lasciate un commento, a me farebbe piacere.
(Suggerimento discreto).

Non è che necessariamente dobbiate mettere nome, cognome, ragione sociale, indirizzo, recapito telefonico e codice fiscale...
(Nel caso, però, eventualmente, allora, già che ci siete, se mi fornite anche il numero della carta di credito schifo non mi farebbe)

Potete anche usare un nickname, una perifrasi, un piccolo indovinello al termine del quale mi si illumini il viso di scoperta e allegra consapevolezza....
(Ammiccante simpatia volta a catturare la benevolenza del lettore)

Però, ecco, insomma, ho finito.
(Chiusura brusca e leggermente destabilizzante, così, giusto per dir qualcosa)

domenica 5 maggio 2013

recording

oggi succederà una cosa piuttosto divertente.

o almeno, a me mi sembra divertente al limite del ridicolo.

comunque.

vi ricordate Lucio, il nostro amico musicista? quello che siamo andati a sentire al concerto l'altra sera?

ecco.
Lui fa il musicista.
e okkkei.

e ultimamente ha scritto delle canzoni.
e okkkei.

ora ha deciso di inciderle.
e okkkkei.

il fatto è che ha chiesto a me e irene di cantare una sua canzone per il suo cd.
????!!!!

che irene canta benissimo, vero.
ma io???!!!

vabbè, tra mezz'ora passa  a prenderci e bòn.
andiamo in sala di registrazione.
io farò una seconda voce.

rendetevi conto.

ah. e no, nessuno di voi avrà mai la possibilità di sentirne neanche una nota. scordatevelo.

questa cosa fa riderissimo, a voi no?


giovedì 2 maggio 2013

Binari linguistici

In questi giorni mi rendevo conto di una cosa.

Parlare due lingue è una faccenda interessantissima (non riesco nemmeno a immaginare chi ne parla tre o quattro o più...che fortuna...).

Nel senso che mi sono proprio accorta che è una di quelle cose che, fisicamente, quasi, ti spalanca il cervello.

Quando parlo in spagnolo mi accorgo che è come se nella mia testa si aprisse un altro mondo.
La sensazione, a volte, è quella di avere una specie di ferrovia nel cervello, con due grandissimi binari.
A volte mi capita di pensare in spagnolo e poi di parlare in italiano o viceversa.
Continuamente sento i meccanismi del mio cervello fare click, come attivassero una leva di scambio gigantesca, per passare da una lingua all'altra.

E non è solo questo, è proprio che mi accorgo che cambio il modo di percepire alcune realtà.
Il fatto di chiamarle diversamente o la struttura sintattica che serve a dire una cosa e magari è diversa dalla struttura che uso normalmente in italiano, fa proprio in modo che a quella cosa tu pensi in maniera diversa.
Sostanzialmente diversa.

Non lo so se rendo l'idea.
Magari tra un altro po' di tempo riesco a spiegarvelo meglio.

Poi vabbè, l'inconveniente invece è che a volte quando parlo mi vengono fuori parole che non sono nè spagnole nè italiane, ibridi lessicali che fanno ridere e basta.

Tutto ha un prezzo.

mercoledì 1 maggio 2013

8 secondi

A Bogotà attraversare una strada equivale, la maggior parte delle volte, a un'avventura decisamente pericolosa.

L'idea è che devi cogliere il momento giusto, calcolare velocità e distanze in tempi rapidissimi e poi...rischiare.

Il fatto è che le macchine non si fermano. Mai. Nemmeno le moto. Nemmeno gli autobus. Nessuno, insomma.
La cosa è confermata da Luz Angela, una mia collega, che l'estate scorsa è venuta in Italia in vacanza e agli amici increduli raccontava: "ragazzi, l'italia è un altro mondo! ad esempio: se stai attraversando una strada e arriva una macchina...quella...si ferma e ti lascia passare!!!"

Quando attraverso una strada, qui, mi viene sempre in mente l'immagine di un libro illustrato che avevo da piccola che raccontava la storia del topo di campagna e del topo di città. In particolare il punto in cui il topo di campagna arriva in città e deve sostanzialmente trovare il modo di salvarsi la vita dagli sconosciuti e tremendi pericoli della strada.

Appunto.

Ieri sera, mentre tornavamo a casa, a uno degli incroci che attraversiamo sempre con un po' di apprensione e sperando di cavarcela anche quella volta, c'era appeso il seguente striscione (vedi foto).

traduco: "8 secondi di semaforo (sottinteso: verde, n.d.a.) non sono sufficienti per il pedone"

(li ho cronometrati e, a dir la verità, sono esattamente sette secondi e pochi decimi)


non so chi  l'abbia messo, ma ha tutta la mia approvazione e simpatia. se si fa una raccolta firme voglio essere la prima firmataria.

sabato 27 aprile 2013

invito al cinema

attenzione.
questo è un messaggio importante, fondamentale, imprescindibile.

quindi vi pregherei la massima attenzione e disponibilità.

qualche sera fa, su suggerimento di un'amica, ci siamo viste QUESTO FILM.
il link è all'indirizzo Youtube dove potete trovare il film completo in lingua però spagnola.

ho trovato un'altra versione, in inglese, ma coi sottotitoli in italiano: QUI.

é un film che a mio parere dovrebbero vedere tutti, mostrarlo nelle scuole, organizzare proiezioni pubbliche in tutti i multisala.
invece in Italia e molti altri paesi d'Europa è stato censurato e non arriverà mai nelle sale cinematografiche.

oltre ad essere un film con un grandissimo Andy Garcia ed essere girato in modo impeccabile da qualsiasi punto di vista, è una storia vera più del vero ed è una roba da togliere la pelle di dosso.
Per chi lo conoscesse, ad esempio, Il potere e la gloria di G. Greene è ambientato lì dentro, che se non l'avete mai letto...bhè, dovreste.

quindi, vi prego, trovate due ore e guardatevelo.

non è un consiglio.
è un must.
fidatevi.

lunedì 22 aprile 2013

Hoy me quedo contigo.

La mattina, quando arrivamo a scuola (all'alba, vi pregherei di ricordare), quando arrivano tutti i ragazzi e bambini dalle rute, noi siam lì ad aspettare che suoni la campana e a controllare che, nel frattempo, non si uccidano fra loro, sostanzialmente...

Stamattina ero lì che li osservavo e Pablo, 4 o 5 anni e, credo 70 centimetri di altezza o poco più, mi si avvicina, mi abbraccia e mi dice, sorridente: "hola! Hoy me quedo contigo, sì?!" Che tradotto significa: ciao, io oggi voglio stare con te, va bene?

Volevo dirvi che mi sono commossa.
E che sarebbe così grande la vita e tanto più semplice, se fossimo più capaci, come un bambino di quattro anni, làddove riconosciamo la bellezza, una simpatia, qualcosa di grande per noi, di dire: io oggi voglio stare con te.
E farlo, davvero. E non rinunciarvi.

Come si riempirebbe, la vita, di cose grandi e meravigliose.

venerdì 19 aprile 2013

Oggi sì, sono andata in gita...

Ma sono troppo stanca per raccontarvi ora.
Chè il viaggio di ritorno è stato interminabile.

Però domani vi racconto, promesso.
Notte, crollobum.

venerdì 12 aprile 2013

Allordunque, per la cronaca: non siamo passati.
Sto parlando della fase regionale delle olimpiadi di italiano.
Hanno vinto un paio di ragazzi spagnoli dal nome e cognome interamente e inequivocabilmente italiani e poi un altro studente brasiliano e niente, nè Luis Camilo nè Laura ce l'hanno fatta.

Peccato. In palio c'era la possibilità di andare a Firenze a fare la finalissima nazionale.

Però.
In compenso da domani saremo quasi famosi.
Ci hanno chiesto un'intervista a proposito della nostra partecipazione alle olimpiadi e domani, ore 14.00 (ora italiana) o anche 7.00 del mattino (ora colombiana), potrete ascoltare direttamente la voce di Luis Camilo che risponde alle domande dell'intervista su radio Italia 3.

QUI trovate il link del sito web della radio, se voleste collegarvi e ascoltarla.
E se per caso ve la perdete perché, chessó, siete all'iper a far la spesa, no panic: QUI INVECE potrete trovare il podcast dell'intervista anche nei giorni successivi.

Vi aspettiamo numerosi.
L'intervista dura una cosa come tre minuti.
E Luis Camilo è molto molto orgoglioso di tutto questo.

mercoledì 10 aprile 2013

Any given morning (cit.)

Comunque non c'è verso: non ci si abitua.
Cioè: i bioritmi, le abitudini, i cicli solari e via dicendo. Sì, va bene, magari il tuo corpo si può anche tarare su altri orari e su un ritmo di vita differente.
Non è quello il problema.

Il fatto è che è la mia mente, a non farcela: ogni sacrosanta mattina, da ormai otto mesi e rotti, quando la sveglia suona alle cinque e mezza e io apro gli occhi, il mio cervello non fa che ripetere un'unica, chiarissima frase:
No, non è umano.

Porcamiseria.